Nessun taglio ai buoni pasto per i dipendenti pubblici: lo fa sapere una nota del Governo che smentisce quindi qualsiasi provvedimento in merito all’interno della legge di stabilità. Palazzo Chigi smentisce quindi che nel testo della legge che ha passato ieri l’esame del Consiglio dei ministri via sia qualsiasi riduzione dei ticket restaurant per i lavoratori dello Stato che lavorano meno di otto ore. Ieri, infatti, si era diffusa la notizia che il Governo avesse varato una norma, all’interno della legge di stabilità, per eliminare i buoni pasto ai dipendenti pubblici se la durata effettiva della prestazione lavorativa risultava inferiore a otto ore giornaliere. Il taglio avrebbe interessato molti lavoratori dello Stato, perché spesso il loro orario settimanale è di 36 ore (quindi 7 ore e 12 al giorno). I calcoli fatti ieri prevedevano che i lavoratori avrebbe perso fino a 154 euro di ticket restaurant al mese (7 euro per 22 giorni lavorativi).
Dura era stata la reazione dei sindacati. La Cgil aveva sottolineato come la misura sarebbe andata a colpire ancora una volta le buste paga dei dipendenti pubblici, che già fanno i conti con il blocco della contrattazione varato nella manovra del 2010 e prorogato in quella di questa estate. La Uil aveva invece ribadito la necessità di una mobilitazione del settore pubblico con sciopero e manifestazioni il 28 ottobre. Il Segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, aveva minacciato una reazione durissima nel caso la norma fosse stata confermata.
Oggi, ovviamente, il tenore dei commenti è di verso opposto con la Cisl Fp che si dichiara pronta ad aprire con il Governo un tavolo di confronto per ogni ministero in modo da individuare gli sprechi e migliorare la produttività dei lavoratori. L’avvertimento in ogni caso resta: la riorganizzazione dei servizi e degli enti pubblici è necessaria, ma non si può fare sulla pelle dei lavoratori.
Il Consiglio dei ministri di ieri, secondo quanto si apprende dalle prime informazioni di stampa, ha comunque varato una serie di tagli ai ministeri per il valore complessivo di 6 miliardi di euro. Ovviamente non è stato facile far digerire i provvedimenti a tutti i titolari dei dicasteri. Qualcuno è stato forse più penalizzato, come Paolo Romani, dello Sviluppo economico, che ha perso 1,6 miliardi di euro che provenivano dall’extra-gettito dell’asta sulle frequenze telefoniche di quarta generazione e che sarebbero dovuti servire anche per lo sviluppo della banda larga.
Stefania Prestigiacomo (Ambiente) ha ottenuto 300 milioni di fondi, più altro 500 nei prossimi anni. Giancarlo Galan (Beni culturali) ha strappato lo sblocco di 170 assunzioni e Roberto Maroni (Interno) è riuscito quasi a dimezzare i tagli inizialmente previsti per le forze dell’ordine. Mariastella Gelmini (Istruzione) ha invece portato a casa 420 milioni per le università, 150 per le borse di studio e 242 milioni per le scuole paritarie. Ferruccio Fazio (Salute) ha invece visto “sparire” un miliardo destinato all’edilizia sanitaria.