Abitare è un diritto: su questo fondamentale assunto si basa il documento presentato dalla Compagnia delle Opere di Milano in questi giorni, per rilanciare la necessità di nuove e più efficaci politiche per tentare di risolvere il problema casa.
Milano si prepara a rinnovarsi anche a livello edilizio in vista dell’Expo 2015: grandi progetti e nuove costruzioni avveniristiche, che creano forti aspettative in fatto di innovazione e modernizzazione della città. Al tempo stesso, però, un tale rinnovamento non può essere compiuto dimenticando il fatto che quello della casa è per molti cittadini un problema primario ancora irrisolto. L’aumento del costo della vita da una parte e il continuo lievitare dei prezzi degli affitti rendono l’elementare diritto all’abitazione un lusso cui molti non possono accedere, o lo possono solo in cambio di grandi e a volte quasi insostenibili sacrifici.
Sarebbe un bel modo di rinnovare la città, quello di creare un grande ammodernamento edilizio e infrastrutturale, e al tempo stesso farsi carico del problema sociale di chi una casa fatica ad averla. Perché non si pensi, come molti forse un po’ moralisticamente fanno, che abbellire una città sia necessariamente un’operazione che viene sempre fatta a discapito dei più poveri. Si può invece costruire una città più bella, più moderna, più efficiente e anche più solidale.
Per fare questo possono essere d’aiuto le indicazioni che nel documento della Cdo Milano vengono presentati: azzeramento dei costi delle aree destinate a servizio sociale per la casa; creazione di mutui e fondi per il finanziamento del social housing; un abbassamento dell’Iva per la progettazione costruzione e gestione di tale iniziative (dal 20% al 4%).
Soprattutto viene segnalata una strada fondamentale, basata sulla sussidiarietà: basata cioè sulla valorizzazione e il sostegno a quelle realtà che già operano nel campo dell’housing sociale, e che quindi già ben conoscono le caratteristiche del problema, e le possibili vie d’uscita. Certamente servirà, per poter costruire i 90 mila o 100 mila appartamenti di cui ci sarà bisogno entro un anno e mezzo, un accordo straordinario di programma in cui le aree pubbliche e private con questa destinazione funzionale siano messe effettivamente a disposizione degli operatori.
Il metodo, anche in questo campo, non è quello della creazione di nuove politiche assistenzialistiche calate dall’altro, foss’anche da un’amministrazione locale: il metodo corretto, va ribadito, è quello della valorizzazione di ciò che c’è, di quelle realtà che già sono attive sul campo e che hanno semplicemente bisogno di essere sostenute in modo, appunto, sussidiario.