L’indice Pmi manifatturiero della Germania è sceso dal 52,1 di aprile al 51,4 di maggio. Intanto il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, ha detto di ritenere possibile un default di Atene. “Dovrei riflettere molto intensamente prima di ripetere quanto dissi nel 2012, cioè che la Grecia non sarebbe mai andata in default”, le sue parole. Il governo Tsipras ha reso noto che non restituirà al Fondo monetario internazionale la tranche da 310 milioni di euro che scade il prossimo 5 giugno, parte di una somma da 1,5 miliardi da rimborsare nell’arco del mese di giugno. Ne abbiamo parlato con Francesco Daveri, professore di Scenari economici all’Università di Parma.
La Grecia ha annunciato che non pagherà la rata di giugno dei debiti con il Fmi. Quali conseguenze possono esserci per l’Italia?
Da questo punto di vista le conseguenze per l’Italia sono molto dirette. Dobbiamo attrezzarci al default greco, in quanto il nostro Paese ha crediti di circa 40 miliardi nei confronti di Atene. In caso di default anche un mancato rimborso parziale del 5 o 10% comporterebbe dei numeri con delle conseguenze di rilievo. A ciò si aggiunge il potenziale effetto “bomba atomica” nel caso in cui anziché rinegoziare il debito la Grecia si trovasse a uscire dall’euro. A quel punto si potrebbero avere anche degli effetti ben più consistenti, anche se non credo che si rischi effettivamente questo secondo scenario.
L’indice Pmi della Germania a maggio è peggiorato. Quali effetti può avere sulla ripresa del nostro Paese?
La situazione in Europa è ancora decisamente buona e il clima per gli imprenditori continua a essere molto più positivo che in passato. Si osserva un peggioramento degli indici congiunturali come il Pmi per la Germania, che però rimane ben al di sopra di quota 50 che corrisponde alla situazione in cui l’economia va bene.
L’economia tedesca rischia di andare incontro a un’inversione di tendenza?
No. Non si può certo dire che sulla Germania soffi un vento di inversione di tendenza, cosa che invece si osserva in parte negli Stati Uniti. Per la ripresa italiana del resto conta di più quanto sta avvenendo in Europa che non oltreoceano. I dati europei del primo trimestre sono stati buoni, trainati dal prezzo del petrolio, dall’effetto anticipato del Quantitative easing e dal calo dell’euro, più ancora che dalla riduzione del costo del denaro e dei tassi di mercato. Ci sono quindi prospettive per avere nel secondo trimestre numeri migliori di quelli che abbiamo visto nel primo.
Il rallentamento della Germania ci deve preoccupare o è nella norma?
Per l’Italia il rallentamento tedesco non è una buona notizia, in quanto molte delle nostre aziende manifatturiere sono importanti fornitori delle industrie automobilistiche di cui la Germania è una delle sedi più rilevanti. E lo stesso vale per la nostra industria meccanica e per l’intero indotto italiano.
Quali conseguenze può avere il rallentamento di Berlino dal punto di vista della politica economia a livello europeo?
Dal punto di vista politico il rallentamento della Germania è una notizia positiva perché riduce la pressione sulla Bce. Questa pressione spesso proviene dalle assicurazioni e dai risparmiatori tedeschi, in quanto se i tassi sono troppo bassi questi ultimi faticano a trovare delle polizze assicurative con rendimenti interessanti.
Lei prima ha detto che l’economia italiana sta migliorando. Stiamo solo beneficiando di condizioni esterne favorevoli o stiamo anche facendo la nostra parte?
Certamente si può fare sempre di più, ma alcuni dei passi necessari come la riforma del lavoro sono stati compiuti. Il messaggio di questa riforma è che si può assumere in Italia dando un po’ più di prospettive ai giovani. Ciò con il tempo si tradurrà in un effetto positivo. Quello che manca è una riduzione della spesa pubblica che si basi sui tagli alle partecipate, alla sanità e alla Pubblica amministrazione in generale. È una fase di dimagrimento che occorre per ridurre le imposte a tutti e non solo a quanti hanno diritto al bonus da 80 euro.
(Pietro Vernizzi)