Bersani-Alfano battono Renzi-Verdini con un punteggio (6-0/6-0) netto e senza appello. La cosiddetta riforma Boschi passa con 180 voti a favore e il putto fiorentino si ritrova senza armi di ricatto derivanti dal possedere l’arma letale appunto: la compagnia di ventura di Denis il cattivo.
Il derby nella maggioranza va a coloro che hanno provato la ininfluenza degli “impresentabili “al Senato. Non vive di luce propria insomma il Pd renziano senza i comunisti, o meglio i riformisti come loro amano definirsi. I grigi uomini della ditta. I garanti della maggioranza si chiamano da un lato Gotor, Chiti, Migliavacca, e dall’altra Formigoni, Schifani, Sacconi. Renzi incassa il risultato ma mastica amaro. Renzi-Verdini sono al massimo, in una giornata come questa, la maggioranza… dei guai del Monte Paschi di Siena. Eppure il dibattito parlamentare aveva ampiamente registrato i disagi della minoranza Pd. Addirittura commovente sul fronte alfaniano la sofferta decisione di Quagliariello di rimangiarsi il sì alla riforma costituzionale ammettendo che si era ridotta ad una trappola per la democrazia italiana.
Della Costituzione, in realtà, nel suo intervento Renzi non si è occupato. Una lunga ed estenuante arringa in favore delle azioni di governo, una rivendicazione ostinata di risultati presunti. Ma sull’argomento del giorno nulla. Tra un misto di stupore ed irritazione non solo delle opposizioni. E poi… via, senza ascoltare le dichiarazioni di voto dei gruppi parlamentari, come fosse già in vigore una costituzione materiale che può permettersi di ignorare i rappresentanti del popolo. Via, lontano dalle facce spiazzate e mute dei verdiniani che non sanno se oggi potranno andare all’incasso visto che i loro voti sono puramente aggiuntivi. Sorpresi anche dal sì alla riforma delle “tosine”, le senatrici che si rifanno a Flavio Tosi, tanto di destra da aver votato con la sinistra, e di un imprecisato numero di grillini convertiti sulla via di Damasco ovvero del Pd, e delle vicepresidenze di commissione che verrano elargite oggi.
Le opposizioni meglio attrezzate avevano durante la giornata presentato i comitati per il no. Il comitato promosso da Sel e grillini, quello di Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia, quello dei Popolari per l’Italia di Mario Mauro, del Cdu e delle associazioni sturziane. Paolo Romani, capogruppo di Forza Italia al Senato lo ha detto senza mezzi termini. Oggi non si comincia ma si smette di parlare di costituzione. Si parlerà di Renzi. Renzi lo sa e rilancia. Se mi battete vado via. Un invito a nozze per chi vuole liberarsene, magari col sostegno esterno di coloro che reputano in giro per il mondo che Renzi abbia truccato i conti dello Stato e che dietro il vuoto bla-bla delle riforme altro non stia realizzando che l’occupazione pervasiva dello Stato tramite il suo giglio magico.
Nel frattempo il dibattito si chiude. Renzi è già andato via. Le opposizioni discutono della strategia referendaria. Verdini cerca di agganciare le tosine, non si sa mai. La presidente della commissione Affari costituzionali Finocchiaro annuncia che non si candiderà più. È stato troppo anche per lei. Una senatrice grillina mostra una battuta che circola sulla rete. “Ho letto tutta la Costituzione della Repubblica Italiana. Ed alla fine lei muore”.