Dopo mesi di incontri semi-ufficiali con gli altri membri dell’attuale maggioranza e di dibattiti su legge elettorale e alleanze, il Pd cerca di rimettere al centro della propria agenda politica uno tra i temi che maggiormente dovrebbe contraddistinguerlo: il lavoro. Lo ha fatto ieri, con la la seconda Conferenza nazionale del partito dedicata all’argomento, svoltasi a Napoli. Il segretario Pierluigi Bersani, da un lato, ha parlato di “dramma nel dramma” riferendosi all’emergenza occupazione e, in particolare, alla situazione campana, mentre, dall’altro, il responsabile economico democratico, Stefano Fassina, ha fatto presente che l’argomento, da qui in avanti, dovrà rappresentare il baricentro della loro azione politica. Sullo sfondo, la necessità di tamponare l’emorragia di voti (fluiti, soprattutto, in direzione di Grillo), provocata dall’appoggio incondizionato al governo Monti. Il commento di Peppino Caldarola.
Crede che, effettivamente, rimettere al centro il tema del lavoro sia la priorità del Pd?
Di sicuro. Perché il suo mondo di riferimento è, prevalentemente, costituito da lavoratori. Anche l’ipotesi di un ponte con i moderati, per essere legittimata, non può fare a meno di un forte ancoraggio a sinistra. Dove, il tema, non ha mai smesso di essere all’ordine del giorno.
Il sostegno al governo e, in particolare alla riforma delle pensioni e a quella in fase di approvazione del mercato del lavoro, potrebbe rivelarsi, elettoralmente, penalizzante?
Qualche problema verso l’aria più di sinistra, indubbiamente, ci sarà. Del resto, Bersani ha sempre sostenuto la tesi secondo cui l’appoggio all’esecutivo di Monti avrebbe rappresentato un difficile compromesso in base al quale ciascuna forza politica avrebbe dovuto rinunciare a parte dei propri obiettivi per trovare dei punti in comune. Non è un caso, inoltre, che, ogni volta parla di questo governo, ponga l’accento sulla sua attività legata al risanamento e alla tenuta finanziaria del Paese. Sta di fatto che potrà fare sempre meno per nascondere i malumori rispetto al ministro Fornero.
La lettera dei 7 deputati del Pd a Mario Monti per denunciare gli «atteggiamenti arroganti non più tollerabili» della Fornero rappresenta solamente un episodio estemporaneo?
No. E’ sintomatica di un certo mal di pancia interno a buona parte del Pd. Del resto, se osserviamo la fenomenologia del ministro, ci rendiamo conto che era stata presentata come un tecnico di area Ds. Ha svolto il compito più duro del governo Monti e rappresenta una figura decisamente molto controversa. Nel Pd, quindi, ci sono posizioni contrastanti. C’è chi la considera un avversario politico e chi vuole distinguere l’utilità delle sue proposte da alcune sue manifestazioni di estrema rigidità e da alcuni errori, specie quello sugli esodati.
Le diverse posizioni assunte rispetto al ministro sono assimilabili alle diverse correnti che animano il Pd?
Direi di sì. Nell’arco degli ultimi mesi, la posizione di Stefano Fassina nei confronti della Fornero è stata molto dura, mentre sono state pressoché del tutto assenti le critiche da parte dell’area che va da Enrico Letta a Veltroni. Credo, quindi, che la distinzione corrisponda alle categorie che abitualmente si usano per descrivere la geografia interna al Pd.
A proposito di Fassina. Si vociferava che avesse chiesto le elezioni anticipate per sondare il terreno con il Quirinale per conto del suo partito. Ora, tuttavia, mentre Bersani è ormai intento a preparare le primarie, continua a chiederle con insistenza. Qual è il suo scopo?
Va detto che Fassina non rappresenta la longa manus di nessuno. E’ un dirigente del Pd che, assieme a Matteo Orfini guarda al mondo sindacale e a Nichi Vendola. Si muove in totale autonomia. Spesso, in contrasto con Bersani. Per quanto riguarda, appunto, le elezioni anticipate ma anche per la richiesta al governo di dimettersi. Penso che siamo di fronte alla nascita di una componente più di sinistra e socialdemocratica, all’interno di questa lunga a difficile composizione del Pd.
In questo scenario, qual è l’atteggiamento di Bersani?
Accingendosi a partecipare alle primarie per diventare capo di una coalizione, cercherà di essere il più rappresentativo possibile di tutte le componenti interne al partito.
Crede che, salvo la corrente di Fassina, il resto del Pd escluda il ricorso alle elezioni anticipate?
Per forza. Chiunque sa bene che il rischio sarebbe, anzitutto, di un deterioramento dei rapporti tra l’Italia e l’Europa. In secondo luogo, il presidente della Repubblica ha più volte manifestato l’intenzione di non sciogliere le Camere anticipatamente. Cosa che, del resto, sarebbe tecnicamente del tutto improbabile. Per votare rapidamente, infatti, bisognerebbe sciogliere le camere entro luglio. Non mi pare che, all’orizzonte, ci sia questa prospettiva.
(Paolo Nessi)