«Un giudizio politico», quello della Consulta, dice Piero Ostellino. «No, la corte è estranea alla politica. È un atto prettamente giuridico», ribattono gli ex presidenti Mirabelli e Baldassarre.
La decisione della Consulta è arrivata nel tardo pomeriggio: il lodo Alfano, la legge che sospende i processi per le quattro più alte cariche dello stato, non è conforme al dettato costituzionale. Una bocciatura senza appello per la legge approvata nel luglio dello scorso anno: nove giudici su quindici hanno detto che il lodo va contro l’articolo 3 della nostra Carta, per il quale tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge, e contro l’articolo 138. La strada era un’altra, dice la Corte: non una legge ordinaria, ma solo una legge costituzionale – dunque da introdurre nell’ordinamento con un iter molto più lungo e complesso – può impedire che capo dello stato, presidenti di Camera e Senato e capo del governo vadano sotto processo.
Qui però finisce la cronaca e iniziano le polemiche. O meglio, riprendono, perché non si sono mai davvero interrotte. Nessuno che abbia il polso della politica italiana può aver preso il silenzio e la quiete surreale degli ultimi due giorni, e le analisi di giuristi e commentatori sulle probabili decisioni della Consulta, per un ritorno alla moderazione o per un deferente ossequio all’imparzialità del diritto. Berlusconi, a caldo, dice senza mezzi termini che «la Corte è di sinistra» e di non aver mai creduto sul serio in un risultato diverso. Non solo: ma di non stupirsi nemmeno di quel che dichiara il Quirinale: tanto, dice il premier, si sa da che parte sta. «Tutti sanno da che parte sta il presidente della Repubblica – ha detto Napolitano -. Sta dalla parte della Costituzione, esercitando le sue funzioni con assoluta imparzialità e in uno spirito di leale collaborazione istituzionale».
Eppure. Eppure un dettaglio deve aver sorpreso un po’ tutti, e non ne fa mistero il premier quando dice di essersi sentito «preso in giro». Lo ha rilevato il ministro Alfano: «la Corte costituzionale dice oggi ciò che avrebbe potuto e, inevitabilmente, dovuto dire già nel 2004 nell’unico precedente in materia». Lo “scudo” per le alte cariche, infatti, ha recepito in pieno secondo il ministro le osservazioni della Consulta al momento della bocciatura, quattro anni fa, del lodo Schifani. Non c’era cioè la necessità di una legge costituzionale: via libera, dunque, ad una legge ordinaria. Arrivata per di più sul tavolo della Consulta con la firma del capo dello stato. Ma i nove giudici che hanno votato per l’incostituzionalità non l’hanno pensata così. E, due minuti dopo la sentenza, l’Italia torna a dividersi.
Ilsussidiario ha raggiunto subito al telefono due ex presidenti della Corte costituzionale, Antonio Baldassarre e Cesare Mirabelli. Sono prudenti i giuristi, com’è nel loro costume. Aspettano le motivazioni della sentenza. «Capisco bene la decisione della Corte. Ha detto che sono violati gli articoli 3 e 138 della Costituzione. Serviva una legge costituzionale e non una legge ordinaria. Sono osservazioni che erano state fatte in dottrina, tra l’altro pure da me – dice Baldassarre -. Ovvia la violazione dell’articolo 3. Il premier “primus super pares”? Non voglio entrare nel merito delle linee difensive degli avvocati, che andrebbero conosciute in dettaglio». Dunque l’esito era prevedibile? «Guardi – continua il professore – a dire il vero poteva tutto essere fatto meglio. Quando questa maggioranza è stata eletta i tempi c’erano tutti per fare una legge costituzionale. L’avessero fatta con più attenzione e con la sospensione estesa ai ministri nessuno avrebbe più potuto dire nulla». Anche se Alfano ha dichiarato che una legge costituzionale non è nei piani della maggioranza, la domanda viene però spontanea. «Se c’è la possibilità di metter mano ad una legge costituzionale? Teoricamente la possibilità c’è – conclude Baldassarre – ma non so quanto sia effettivamente praticabile: occorrono numeri qualificati, serve molto tempo, e questo complica tutto».
È sulle stesse posizioni Cesare Mirabelli. Se l’aspettava, professore? «La Corte è imprevedibile. Possiamo però cercar di capire. Anzitutto è una decisione che va accolta con grande serenità, senza trionfalismi da una parte e senza demonizzazioni dall’altra. Mi pare francamente che il tema sia stato troppo drammatizzato negli ultimi tempi, non crede?» Su questo siamo tutti d’accordo. L’Italia vive uno scontro tra politica e magistratura senza requie da quindici anni. E una via d’uscita non si vede. Decisione tecnica o politica? «È una decisione tecnica. Aspettiamo le motivazioni, ma vedrà che toccano il profilo della fonte. Il lodo – spiega Mirabelli – richiede secondo la Corte una legge costituzionale e non ordinaria perché va a toccare il principio di eguaglianza e perché viene a configurare probabilmente una sorta di immunità anziché una sospensione processuale. Dire “non c’è l’immunità, ma una sospensione a tempo” non è bastato». Esiste ora la possibilità di fare una legge costituzionale? «Lo spazio c’è sempre, è un procedimento più lungo che richiede una procedura più complessa: la doppia votazione alle camere, la seconda a distanza di tre mesi dalla precedente, una maggioranza qualificata… non mi pare però la fine del mondo, no?» Ma a conti fatti quella della Consulta è apparsa una decisione politica. «No, è una decisione ancorata alla Costituzione nell’interpretazione che ne dà quest’organo di garanzia, che agisce con freddezza e non è trascinato dalla politica. Dalle proprie decisioni – termina laconico Mirabelli – non trae alcun vantaggio».
Di altro avviso è Piero Ostellino, editorialista del Corriere. «La sentenza della Corte ha una portata storica». Lo dice anche Di Pietro, impariamo dalle agenzie. Ma mentre il leader dell’Italia dei valori, e i supergiustizialisti con lui, festeggiano il conto alla rovescia dei due processi milanesi a carico del premier – per corruzione in atti giudiziari dell’avvocato inglese Mills, e per reati societari nella compravendita dei diritti tv Mediaset – al liberale Ostellino le barricate non interessano. «Il solo commento che posso fare è questo. Se mettiamo insieme Tangentopoli con la bocciatura del lodo – e il suo “verdetto” politico – , si scopre che negli ultimi cinquant’anni l’Italia è stata governata solo da malfattori. E che gli unici due partiti che non erano in mano ai malfattori erano il Partito comunista, finanziato dall’Unione sovietica, e l’Msi, che avendo origini fasciste nessuno poteva volere al governo».
Ma questi sono fatti, è storia, e la Corte giudica in punto di diritto, ci dicono gli ex presidenti. Ma non abbiamo toccato, e forse oltrepassato, i limiti del diritto? Il paese non ha atteso la sentenza della Corte alla pari di un parere sulla costituzionalità di un dispositivo che deve tutelare chi governa, ma come momento-verità sul destino politico di Berlusconi. «Di Pietro fa il suo mestiere, lo si può condividere o meno. Ma la Consulta è un organismo politico, e sottolineo politico, e ha valutato sotto il profilo politico». E arriva, Ostellino, al punto che più fa discutere. «Quello che può stupire è che il lodo Alfano ha recepito le osservazioni della Corte quando questa ha dichiarato incostituzionale il lodo Schifani. In fondo la Corte ha smentito un po’ se stessa. E la seconda cosa da dire, e che mi sorprende, è che il lodo Alfano era stato firmato dal presidente della Repubblica. Non so se chiamarla o no crisi istituzionale. Ma è evidente che nelle istituzioni del paese c’è un’anomalia. Anzi, un corto circuito».
Se la Consulta non avesse bocciato il lodo? «Avrebbe seguito l’etica della responsabilità: lasciamo che il signor Berlusconi governi fino alla fine del suo mandato, poi affronterà nuove elezioni e in ogni caso non potrà più godere del lodo Alfano. Ma la Corte non ha fatto questo. Ha obbedito invece all’etica dei principi. Ma questi principi sono giuridici o sono politici?».
(Federico Ferraù)