Morto un Memorandum, se ne scriverà un altro, quello di “sinistra”. Il terzo. Dagli 8 miliardi “offerti” dal governo si arriverà forse a 10 (all’ingrosso si calcola che la recessione oggi tocchi il 3%, ma sono calcoli non ufficiali). Nel frattempo la Grecia entra in un limbo indefinito. Fantastica la lingua di Omero. Limbo in greco si traduce “anticamera dell’inferno”. Ne uscirà? Tutti lo sperano. Per l’immediato si deve essere ottimisti, per il medio periodo, cioè pochi mesi, questi ultimi sbagli del governo avranno delle conseguenze, perché la scelta scellerata e arrogante del referendum potrebbe essere la pietra tombale della sinistra, per intenderci quella “radicale” non quella compostamente stalinista del Partito Comunista di Grecia.
Dal Consiglio d’Europa arriva un siluro inaspettato: secondo il suo segretario generale, il referendum non rispetta alcune regole internazionali, le quali, tra l’altro, prevedono un periodo di due settimane tra l’annuncio e la votazione, questo per dare tempo per la discussione. Eppure nel governo si contano alcuni professori di diritto costituzionale e alcuni avvocati (loro sempre con cravatta) di spessore.
In una lettera ai creditori, Alexis Tsipras dichiara di accettare le condizioni poste dalle “istituzioni”, cioè la proposta che era stata presentata lo scorso fine settimana, con alcune correzioni per quanto riguarda il Fpa (Iva) per le isole più isolate, alcune voci sulle tasse, sulle pensioni, sulle privatizzazioni. “Scrivo per informarvi circa la posizione della Repubblica Ellenica riguardo alla proposta di accordo (Prior Actions of the Staff Level Agreement), come è stata pubblicata sulla pagina internet della Commissione europea il 28 giugno 2015”.
In cambio i creditori forniranno alla Grecia 29,1 miliardi per i prossimi due anni e mezzo, chiesti da Atene? Il primo ministro, stando alla lettera che il Financial Times pubblicava ieri, accetta le condizioni dei creditori, i suoi parlamentari e i “compagni” ministri accetteranno? Quasi certamente la fantasia del governo saprà dare una definizione a questo nuovo accordo che si dovrebbe raggiungere solo dopo il risultato del referendum.
Da Bruxelles indiscrezioni dicono che l’ultima proposta di Atene non sarebbe sufficiente, soprattutto sui temi fiscali. In proposito è intervenuta a gamba tesa Frau Merkel: “I 18 stati membri non hanno paura di una catastrofe economica quale causa l’instabilità ellenica. È comunque chiaro che il referendum è uno strumento della democrazia. Altrettanto chiaro è il fatto che anche gli altri 18 stati membri hanno il diritto di avere posizioni precise”. Dunque prima il referendum e poi le trattative, ma si deve ripartire da zero e le condizioni saranno più dure. E non è certo che si arrivi a una conclusione prima del 20 luglio, data in cui la Grecia deve versare 3,5 miliardi alla Bce.
Oltre la lettera alle “istituzioni”, Alexis Tsipras ieri sera si è rivolto al “popolo” ellenico. I toni erano sempre i soliti, l’attribuzione delle colpe anche: sono le “istituzioni” che hanno chiuso le banche, ha sostenuto. Ha usato anche una parola molto “forte”: colpo di stato che starebbero preparando i donatori. La Comunità europea non ci ha dato né tempo, né spazio. Insomma, frasi e slogan già ascoltati. E così ha concluso: Vi chiedo di appoggiare il nostro sforzo nel dire NO alle ricette del Memorandum.
L’ultimo bluff di Tsipras-Varoufakis, ovvero abolizione del referendum in cambio di un nuovo credito (30 miliardi) non ha dato il risultato sperato. Ma mentre il ministro delle Finanze offriva la cancellazione del referendum, la Presidente del Parlamento, Zoi Konstantopoulou, di professione avvocato, affermava che non ci sono strumenti costituzionali in grado di ritirare la proposta del governo. Dunque tutti alle urne, domenica prossima, per rispondere a un quesito che è diventato carta stracciata alle ore 24 di martedì, in compagnia di Beppe Grillo. Scorrendo l’archivio, salta agli occhi una notizia di aprile in cui si riportavano dichiarazioni di alcuni ministri da cui si evinceva esattamente quale sarebbe stata la strategia finale del governo: referendum, ovvero l’appello per “l’oro alla patria”. Referendum hanno deciso. Adesso questo trucco politico si è rivelato un boomerang.
Con banche chiuse, code e rabbia al bancomat, dichiarazioni e relative smentite il “popolo” andrà a scegliere il suo futuro? Oppure la lettera di Tsipras cancella la domanda posta nel referendum? Ci sarà da discutere fino alla vigilia. Contro il fronte del “sì”, ieri è stato pubblicato dall’unico giornale (oltre al foglio ufficiale) che fiancheggia il governo una sondaggio, in cui si legge che il “no” sarebbe in vantaggio. Peccato che la società che lo ha condotto non sia proprio in prima fila per la sua “scientificità” e che sia proibito pubblicare sondaggi. Ma questi “giochi” fanno parte della tradizione politica.
Mercoledì alle 6 di mattina, la coda di fronte alle poche succursali aperte e sorvegliate dalla polizia, composta da pensionati, contava circa cento persone, in attesa di poter ritirare 120 euro. Alle 13 con 30 gradi le code offrivano immagini vergognose. Persone di 70-80 anni che nella loro storia personale hanno vissuto i conflitti che hanno dilaniato la Grecia negli ultimi cinquant’anni, in attesa di riscuotere le prime briciole di un diritto che hanno maturato. Domenica, il ministero aveva emesso un comunicato in cui si tranquillizzava quei pensionati che non hanno una carta di debito, affermando che potevano ritirare l’intero ammontare della pensione. Lunedì, cambio di rotta: il massimo che potevano ritirare era di 240 euro. Martedì, i 240 euro erano diventati 120. Anche la precisazione del ministero, secondo cui i turisti possono ritirare banconote fino al limite previsto dalla banca di riferimento, si è rivelata una “bufala”. Sia con carta di credito, sia di debito lo straniero può ritirare soltanto 60 euro. Si calcola che la liquidità rimasta sia minore al miliardo. Inoltre, problemi li hanno anche gli studenti ellenici che aspettano da casa il loro assegno mensile e gli stranieri che ricevono o lo stipendio e la pensione dall’estero. “I miei sono soldi italiani, non greci”, ha scritto un pensionato italiano.
Di fronte a queste immagini di “dignità socialista” vale la pena citare la dichiarazione di un parlamentare “syrizeo” (la sua biografia è sul sito: www.parliament.gr) Stathis Leoutsakos: “I soldi sono carta, si troveranno. La dignità non si compra. Non si svende il futuro del Paese”. O dell’economista Costas Lapavitsas, parlamentare e tifoso della dracma: “Code ai bancomat? La gente si sta abituando”. Poche le voce “ragionevoli” all’interno del governo, e quelle poche non hanno voce in capitolo. Si dice che durante il consiglio dei ministri in cui si è deciso di indire il referendum qualcuno ha alzato la voce, sostenendo che sarebbe stato un grosso errore politico. D’altra parte sembra che Tsipras abbia scelto l’unità del partito, ormai occupato dai comunisti e dai “dracmisti”, piuttosto che una strategia per il Paese. Di sicuro quella fiducia che aveva dalla società si è sfarinato.
Tutti i giornali e le televisioni sono concentrati sul referendum e le sue possibili conseguenze. Gli scontri sono al calor bianco. È paradigmatico il confronto televisivo tra il “si” e il “no”. Mai come in queste occasioni, cioè quando si verifica una spaccatura verticale nella struttura sociale, vale l’adagio: non contano le idee quanto chi le professa. Bene, a favore del “si” sono tutti coloro che hanno a che fare con il settore privato, il commercio e il turismo, a favore del “no” chi ha lo stipendio assicurato a prescindere dalle condizioni del mercato. A questi privilegiati vanno aggiunti azzeccagarbugli, sindacalisti, baby-pensionati del pubblico, ricercatori e affini che per anni hanno invaso i corridoi delle Facoltà.
Sempre sui canali televisivi veniva trasmesso uno spot che consigliava di chiamare un numero speciale (costo al minuto 1,5 euro) per sapere in quale seggio andare a votare. Oppure lo spot che pubblicizza un lettore di carta di credito senza fili, spiegando a un ristoratore (sullo sfondo il mare azzurro) come funziona e quali sono i vantaggi. Quanta amara ironia, in uno momento drammatico in cui il turismo (l’industria “pesante” del Paese) sta assistendo alla sua rovina annuale.
In tutto questo caos economico e sociale, la Commissione parlamentare ha votato a favore del candidato alla presidenza della società dell’acqua potabile di Atene: è il compagno di vita della Presidente della Regione dell’Attica. Entrambi sono di Syriza. Per caso non si crea un conflitto di interessi?