Quella parentesi ha suscitato il putiferio. Nell’intervista a Il Corriere della Sera il ministro delle Finanze Yanis Varufakis aveva dichiarato: “Ma, come mi ha detto il mio primo ministro, non siamo ancora incollati alle poltrone. Possiamo tornare alle elezioni. Convocare un referendum (sull’euro, ndr)”. Ecco appunto la “ndr” del giornalista ha suscitato un enorme vespaio in patria. C’è da chiedersi se il giornalista volesse fare uno scoop o se il ministro “ci fa o ci è”. Un “non paper” del governo ha contestato soltanto il fatto che il referendum si debba tenere sulla permanenza nella moneta unica, ma non ha fatto cenno di smentita di una possibile consultazione popolare e sull’ipotetica domanda che non necessariamente riguarderebbe l’euro, ma “sulla politica fiscale e sulle riforme”, secondo un comunicato del ministero delle Finanze. In Europa la proposta del referendum è stata interpretata come un ricatto politico, in vista della riunione dell’Eurogruppo.
L’ipotesi di una consultazione di tipo referendario o elettorale sta uscendo dal suo percorso carsico. Ne aveva accennato anche il primo ministro Alexis Tsipras nella sua intervista al settimanale tedesco Der Spiegel, in cui muoveva accuse anche a Mario Draghi: “La Bce ci ha stretto il cappio attorno al collo”. Infatti, a dicembre, quando la Grecia si stava dirigendo verso le elezioni anticipate, a microfoni spenti i capi di Syriza ripetevano una sola cosa a chi chiedeva cosa avrebbero fatto se avessero vinto le elezioni. Il programma di Tsipras era fin troppo esplicito: fine degli accordi con la Troika, fine dell’austerità, avanti con un programma di rilancio dell’economia, anche oneroso. Ma i dirigenti di Syriza si erano convinti che nel periodo di prevedibile, dura trattativa con le istituzioni creditrici, la Banca centrale europea avrebbe garantito alla Grecia la liquidità necessaria per andare avanti.
Prima della riunione, l’Eurogruppo ha fatto sapere che la lista delle riforme è “lontana dall’essere completa” e per essere attuata richiederà “tempi lunghi. A marzo non verrà versata alcune tranche di aiuti”. Sicuramente non verrà presa alcuna decisione sul possibile finanziamento alla Grecia. Forse si arriverà a una rottura perché si pensa che i 18 ministri delle Finanze faranno pressione per l’invio di una “missione tecnica” ad Atene per monitorare la solvibilità e la liquidità disponibile del governo, ma la Grecia continuerà a non essere d’accordo.
Le distanze sono notevoli. Atene e gli altri 18 membri interpretano gli accordi del 20 febbraio in maniera diametralmente opposta, e prima ancora di discutere sulle riforme e sugli aiuti dovrebbero trovare un accordo sull’accordo stipulato. Ne è prova la lettera che Jeroen Dijsselbloem, il presidente dell’Eurogruppo, ha inviato al suo omologo ellenico: la lista delle riforme per sbloccare i prestiti è “helpful”, ma necessita del vaglio dei rappresentanti delle “istituzioni”, cioè i tecnocrati che dovranno “monetizzare” l’impatto delle riforme e procedere a una valutazione sullo stato delle casse statali. Cioè la “Troika”. Yanis Varufakis, potrebbe anche mettere sul tavolo anche altre proposte: l’accorpamento dei vari fondi pensioni, una privatizzazione (gli aeroporti locali cui è interessata una joint-venture elleno-tedesca) e l’aumento dell’Iva in alcune isole ad alta densità di turisti.
Su alcune di queste, l’anno scorso lo Sdoe (la Guardia di finanza) ha constatato che circa l’80% degli esercizi pubblici non emette lo scontrino fiscale. In realtà, i controlli non producono risultati. E qualora venisse contestata la multa ci pensa poi la giustizia a rallentare il suo pagamento. Primo, perché, con i tagli il personale è scarso; secondo, perché, come mi ha illustrato un amico che ha un’osteria sull’isola di Naxos, tra le isole si è creata una “catena di sant’Antonio” che preannuncia l’arrivo dei controllori: ad esempio, un commercialista di Paros chiama il collega di Naxos dicendo che stanno arrivando, e questi a sua volta sparge la voce tra i colleghi e i proprietari di locali pubblici. Per i due-tre giorni di permanenza tutti staccano la ricevuta fiscale. Alla loro partenza, l’evasione riprende.
Da questa constatazione forse nasce la proposta contenuta nella lista delle riforme inviata da Atene a Bruxelles di arruolare migliaia di “spie” tra i propri cittadini e tra i turisti. È l’ammissione che lo Stato non ha gli strumenti e i finanziamenti per utilizzare gli ispettori ufficiali e che finora nessun governo non ha mai avuto intenzione di combattere l’evasione fiscale. Non bastano gli “00730” per risolvere un’annosa questione e per cercare di modificare un costume nazionale che si è solidificato nei decenni. Servirebbe una “patrimoniale” e degli strumenti per incrociare i dati. Servirebbero nuove leggi, ma ci vuole tempo.
Mentre si rincorrevano comunicati e smentite su referendum e accordi con l’Europa, una cinquantina di giovani anarchici hanno simbolicamente occupato la sede di Syriza, chiedendo la liberazione di alcuni terroristi, l’abolizione delle carceri di massima sicurezza e l’applicazione delle richieste dei prigionieri che fanno lo sciopero della fame. Era domenica, erano le due di pomeriggio, il palazzo era sorvegliato soltanto da due poliziotti. Sono entrati, hanno spaventato il portiere e hanno chiesto ai presenti di uscire. “Politicamente incomprensibile” è stato definito questo gesto da parte di un portavoce di Syriza. Sono rimasti nell’edificio per nove ore senza che la polizia li abbia identificati. Secondo brutto segnale, dopo le violenze di strada dei giorni scorsi di trecento anarchici che protestavano contro i compromessi del governo.