Medio Oriente e il Maghreb sono ormai da tempo tornati ad essere il cuore pulsante di tensioni, speranze ed interessi internazionali. Proponiamo una panoramica estremamente sintetica della regione, evidenziando le recenti evoluzioni e notizie provenienti da alcuni di questi Paesi facendo il punto su guerre, attentati, repressioni e proteste.
Libia. Sabato sera, i raid Nato hanno portato all’uccisione di Saif al Arab, uno dei figli del Colonnello Gheddafi. Il leader libico stesso ha rischiato la vita nel corso dello stesso bombardamento. L’escalation è avvenuta subito dopo il discorso televisivo del Colonnello in cui minacciava direttamente l’ex alleato e premier italiano Silvio Berlusconi di portare la guerra in Italia. Al di là dell’improbabile risvolto pratico che tali minacce potranno avere, l’intensificazione dei raid aerei suggerisce come il processo diplomatico per risolvere la questione libica diventi sempre più ostico. L’obiettivo di stanare Gheddafi pone tuttavia problemi sull’interpretazione della Risoluzione ONU 1973 in cui non era prevista alcuna aggressione al leader libico.
Intanto i combattimenti si sono spinti fino in Tunisia: circa 15 mezzi militari lealisti hanno varcato il confine con la Tunisia e sono entrati a Dhiba con l’obiettivo di colpire postazioni dei ribelli. La Tunisia, ancora in via di costruzione dopo le “rivolte dei gelsomini”, è al momento estremamente fragile da un punto di vista militare. Occorrerà verificare soprattutto l’incolumità dei civili tunisini, secondo alcune notizie minacciata dal lancio di missili Grad libici a bassa precisione.
Marocco. L’attentato ad un caffè di Marrakech giovedì scorso, ha causato la morte di 16 persone, soprattutto turisti. Le prime indagini puntano il dito contro al Qaeda, la quale dispone in Marocco di una rete di cellule terroristiche che destano da tempo notevole preoccupazione. Recentemente, il re Mohammed VI aveva scarcerato o comminato pene più morbide a 190 prigionieri appartenenti all’Islam radicale, arrestati nel 2003 in seguito all’attentato di Casablanca, in cui morirono 45 persone. Il re intanto ha avviato un processo di riforme politiche che sta interessando il Paese ormai da molti anni e che ha subito un’accelerazione nelle ultime settimane per le pressioni esercitate dalle rivolte scoppiate in altri Paesi della regione. La domanda di maggiori diritti civili e politici che interessa il Marocco ha trovato espressione in frequenti e pacifiche manifestazioni popolari. Ipotesi attendibili in riferimento al recente attentato, quindi, lasciano emergere la volontà di al Qaeda di influenzare lo scenario nazionale in difesa del conservatorismo islamico e, allo stesso tempo, colpire gli occidentali. L’attentato ha infatti ucciso diversi turisti francesi e canadesi e colpirà indubbiamente il turismo nei mesi estivi.
Spostandosi più ad est, emergono le prime crepe tra Egitto ed Israele. In un’intervista ad al Jazeera, il ministro degli Esteri egiziano Nabil Al Araby ha annunciato che a breve il Cairo aprirà il valico di Rafah presso la frontiera con Gaza. Lo scopo è indubbiamente quello di venire incontro alle posizioni filo-palestinesi diffuse tra la popolazione egiziana. Israele guarda con preoccupazione alle recenti prese di posizione egiziane, le quali hanno interessato proprio l’Anp. L’Egitto ha infatti mediato tra Fatah ed Hamas per giungere ad una riconciliazione tra le due fazioni palestinesi in vista delle elezioni che dovrebbero svolgersi entro un anno. Israele ha subito dichiarato i propri malumori, affermando che tale accordo pone un serio ostacolo all’evoluzione del dialogo di pace arabo-israeliano. Gli Usa si troveranno quindi a dover gestire una situazione complessa, appellandosi probabilmente ad una rinuncia a qualsiasi atto terroristico o violento da parte di Hamas.
In Siria intanto continua la dura repressione del regime alawita di Bashar al Assad. Le centinaia di morti delle ultime settimane pongono all’attenzione mondiale un banco di prova molto più importante e complesso di quello tunisino o egiziano. Solo condanne generiche contro l’uso della violenza sono giunte dall’Occidente, mentre l’Ue si propone di valutare un embargo delle armi nei confronti di Damasco. Le profonde differenze inter-etniche che caratterizzano la popolazione siriana, il dualismo sciiti-sunniti, il conservatorismo cristiano, l’amicizia con l’Iran e i bollenti confini con Turchia e Iraq rappresentano micce esplosive potenzialmente letali per gli equilibri regionali. Qualsiasi intervento armato sul modello libico appare estremamente pericoloso in quanto possibile causa di effetto a catena nel coinvolgimento di attori terzi. La prospettiva più probabile ad oggi è che gli Usa e i Paesi europei lascino incancrenire la situazione a causa dei pochi argomenti di conversazione a disposizione dell’Occidente per poter trattare con un regime già sottoposto ad embargo da Washington. Solo la Turchia e pochi altri Stati del Golfo (leggi Qatar) potrebbero far leva su al Assad giungendo ad un dialogo con le opposizioni.
Nel Golfo Persico nel frattempo la situazione appare ancor più delicata: Iran e Arabia Saudita continuano ad accusarsi reciprocamente su chi stia realmente pilotando le proteste in Bahrein. L’invio delle truppe saudite nel Paese retto da una minoranza sunnita ha reso sempre più evidente l’isolamento iraniano rispetto a propri vicini del Gulf Cooperation Council (GCC).
In Yemen il regime filo-occidentale di Saleh resta al potere: il recente tentativo di mediazione da parte dei Paesi del GCC tra Saleh e i manifestanti che da tre mesi vengono massacrati per le strade, è fallito. Il piano prevedeva l’immunità per il presidente yemenita in cambio delle sue dimissioni. Saleh ha però rifiutato. Il Paese è ormai un rottame e l’unica soluzione sembrerebbe la prosecuzione delle trattative tramite intermediari arabi.
Luca Gambardella, analista di Equilbri.net