Presidiata in forze dall’esercito, Beirut ha vissuto oggi una giornata di calma almeno apparente, ma ad un trentina di km a Nord-Est della capitale sono divampati nel pomeriggio violenti scontri tra militanti drusi e sciiti del movimento Hezbollah e anche tra gruppi di drusi rivali, mentre nel Nord, a Tripoli, attivisti filo-governativi e miliziani sciiti si sono dati battaglia notte, fino all’alba. Sono almeno 37 le persone rimaste uccise nel blitz che Hezbollah ha scatenato mercoledì e negli scontri che ne sono seguiti, divampati fino a stamani anche a Tripoli, a 90 km a nord di Beirut, dove è morta una donna.
Questa mattina nella capitale la situazione è calma, ma le barricate di terriccio, detriti e cassonetti, ‘decorate’ con le bandiere gialle di Hezbollah, sono state nel corso della notte rafforzate, per continuare a bloccare le maggiori strade, comprese quelle per l’aeroporto e il porto. Una calma tesa è tornata anche a Tripoli. Hezbollah ha affermato che avrebbe posto fine alla presenza dei suoi milizani armati a Beirut, continuando al tempo stesso la «disobbedienza civile». Uomini armati nelle strade non se ne vedono, oggi, ma questo non significa che si siano ritirati. Hanno solo nascosto le loro armi, in molti casi solo nel bagagliaio delle loro auto parcheggiate vicino al blocchi stradali, come ha documentato una fotografia pubblicata in prima pagina dal quotidiano al Balad (guarda).
Gli scontri, il comandante dell’esercito e la “questione presidenziale”
Nel pomeriggio le emittenti Tv locali hanno iniziato a diffondere le immagini e la notizia di almeno cinque morti nelle violenze in vari villaggi della parte Sud della regione sud del Monte Libano, abitata per lo più da drusi. Per cercare di evitare il peggio, lo storico leader druso Walid Jumblatt, alleato del governo, e il suo rivale Talal Arslan, pure druso ma alleato di Hezbollah, si sono rivolti direttamente al comandante dell’esercito, il generale cristiano Michel Suleiman, affinché dispieghi i suoi soldati anche nelle loro regioni, per imporre la sicurezza. Un appello che rafforza ulteriormente la posizione di Suleiman – unico candidato “di consenso” alla poltrona di presidente della Repubblica, carica vacante da quasi sei mesi – che ieri è riuscito a fermare il blitz di Hezbollah a Beirut assumendo “la responsabilità della sicurezza”, con una posizione che almeno formalmente salva la faccia sia al governo presieduto da Fuad Siniora, e sostenuto da Usa, Europa e Arabia Saudita, sia al leader di Hezbollah, Sayyed Hassan Nasrallah, che ha il forte sostegno di Siria e Iran. Ma la presa di posizione di Suleiman sembra in realtà al momento ancora ben lungi dal garantirgli la poltrona della massima carica dello Stato, quando martedì prossimo il parlamento sarà chiamato ad eleggere il nuovo presidente.
Israele per ora è alla finestra
Israele, intanto, segue con grande preoccupazione la situazione in Libano e pur ritenendone minacciosi ipossibili sviluppi resterà, per ora, a guardare. Tuttavia, secondo il ministro della difesa Ehud Barak, «Israele deve essere pronto a tutto e occorrerà seguire da vicino lo sviluppo degli eventi non solo in Libano ma anche in Siria e Iran». Secondo l’autorevole analista del mondo arabo Guy Bechor, il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah, occupando Beirut ovest, ha mostrato la falsità delle sue assicurazioni che le armi nelle mani dei miliziani sciiti saranno usate solo per difendere il Libano da Israele. «E’ solo questione di tempo la totale presa del potere in Libano da parte degli sciiti» ha continuato Bechor, osservando che a partire dal 2005, dopo l’assassinio del premier sunnita Rafik Hariri, 150.000 esponenti dell’ intellighenzia e della borghesia sunnita e cristiana sono emigrati all’ estero, spaventati dalle buie prospettive del paese.
La posizione dell’Italia nella crisi libanese
Il primo problema del quale Frattini e l’intera struttura della Farnesina, con l’Unità di crisi in primo piano, si è dovuto occupare è stata l’emergenza per la messa in sicurezza degli italiani nella capitale libanese. Ma questa emergenza, fortunatamente al momento è rientrata. Più complesso è invece l’iter politico con la diplomazia che cerca di riportare il dialogo e la moderazione dopo i durissimi scontri dei giorni scorsi. Il messaggio che l’Italia ha cercato di far passare verso le autorità libanesi è quello di lavorare per cogliere la finestra di opportunità che si apre in questa pausa degli scontri, una pausa che potrebbe non durare per molto tempo.
L’appello di Papa Benedetto XVI
Benedetto XVI subito dopo il rito, invece di passare ai saluti, ha sorpreso la platea di fedeli e giornalisti con un appello non previsto per la pace in Libano. «Anche se, nelle ultime ore, la tensione si è allentata, ritengo oggi doveroso – ha affermato – esortare i libanesi ad abbandonare ogni logica di contrapposizione aggressiva, che porterebbe il loro caro Paese verso l’irreparabile». «Il dialogo, la mutua comprensione e la ricerca del ragionevole compromesso – ha aggiunto – sono l’unica via che può restituire al Libano le sue istituzioni e alla popolazione la sicurezza necessaria per una vita quotidiana dignitosa e ricca di speranza nel domani». «Far vivere il Libano – ha concluso il pontefice – è un compito comune di tutti i suoi abitanti».