Caro direttore,
il 1° settembre 2011 ho preso servizio in qualità di docente in una scuola secondaria di Milano. Quest’anno, diversamente dagli ultimi 12 anni, ho iniziato con un contratto a tempo indeterminato. Nel lontano 1999-2000, infatti, avevo sostenuto un esame per l’abilitazione partecipando all’ultimo concorso ordinario indetto dallo Stato. Passammo l’esame in un quinto degli iscritti. Quest’anno sono stata convocata per l’immissione in ruolo grazie al contingente ministeriale. Da allora ho intrapreso la professione di docente, che nel lontano 1999 avevo iniziato, dopo un’esperienza in una multinazionale americana, passando da una scuola all’altra, con supplenze brevi o con nomina fino all’avente diritto (per i non addetti ai lavori, se a scuola arrivava qualcuno che aveva più diritto di te, da un giorno all’altro, senza neanche dare spiegazioni, dovevi lasciare i ragazzi con i quali avevi instaurato un rapporto di fiducia, il tuo lavoro programmato faticosamente, e andare via senza poter dire nulla). Le consolazioni delle mie colleghe non andavano mai oltre il “funziona così, è capitato anche a me”.
In seguito sono arrivate le SISS, le scuole di specializzazione. Conosco colleghi che hanno studiato per sette e anche nove anni per avere due specializzazioni. Alle persone frequentanti le SISS sono state fatte false promesse. Si ventilava l’ipotesi che chi le avesse frequentate avrebbe potuto poi avere un posto nella scuola. Ad oggi le SISS sono state abolite. Mi ero informata anch’io per poterle frequentare, conscia del fatto che presto queste persone tutte più giovani di me mi avrebbero superato in graduatoria; di fronte all’evidenza che avrei dovuto rifare esami che avevo già sostenuto, oltre che pagare delle rette che equivalevano a quasi quattro anni di lavoro, mi sono tirata indietro. Nel frattempo ho iniziato a lavorare in università in qualità di cultore della materia, professione che svolgo per pura passione della disciplina che insegno e per tenermi costantemente aggiornata. Ma per scalare le graduatorie ci vuole ben altro! Ci vogliono i corsi Forcom on line! – diverse centinaia di euro regalati in cambio di due punticini per la graduatoria.
Mi sono rifiutata di fare anche questo e sinceramente ero arrivata a giugno scorso contenta del mio anno di insegnamento con i ragazzi ma, mi creda, nauseata dal sistema così disumano di reclutamento del personale. Mi sembrava di avere intrapreso una carriera a fondo cieco, senza sbocchi, con solo doveri, le assicuro non indifferenti – il lavoro di docente, se fatto con coscienza, è un lavoro pesante, impegnativo e di grande responsabilità. No comment sulle colleghe che passeggiano spensierate con le scritte sulla maglietta three reasons to be a teacher: June, July and August.
Peccato che io non ho mai preso lo stipendio nei mesi estivi, forse loro sì. Perché così è il reclutamento nella scuola per una fetta molto significativa, vieni assunto in un qualsiasi giorno di settembre, da un momento all’altro senza poterti organizzare, e vieni licenziato il 30 giugno dell’anno successivo. Qualsiasi genitore può accorgersi di quanto turnover sia presente nelle classi dei figli. Le varie teorie che si leggono ultimamente sui giornali in merito a possibili nuove forme di reclutamento del personale temo non siano altro che parole prive di una vera conoscenza di ciò che è realmente la scuola, nuove oziose elucubrazioni di un mondo che in realtà non si conosce.
Queste righe non sono un lamento, uno sfogo, sono la rilevazione di fatti che umiliano il lavoro della persona e le aspettative delle famiglie italiane rispetto all’educazione dei propri figli. La scuola statale sta ancora in piedi grazie a uomini e donne che lavorano con dedizione e motivazione. Gli insegnanti non sono tutti lavativi! Ci sono dirigenti che hanno a cuore la propria scuola e nonostante le diverse difficoltà e il sistema perverso di reclutamento riescono comunque ad offrire un servizio di qualità alle famiglie. Chi rovina la scuola sono, a mio parere, quelli che la intendono come un meccanismo burocratico. Perché le assicuro che quando in una scuola il dirigente guarda in faccia i propri insegnanti, e li tratta da professionisti e da persone e non come numeri di una graduatoria, le cose funzionano. Che cosa importa di più in una scuola se non che i ragazzi possano incontrare degli adulti appassionati, con una visione positiva della vita? Nessuna burocrazia potrà mai garantire questo.
Rita De Cillis, insegnante