“Primum vivere, deinde philosophari”. Il Segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, ha risposto così a un coro di giornalisti che lo hanno incalzato (si fa per dire), nelle scorse giornate, sulle affermazioni del ministro Giovannini circa una possibile prospettiva di introdurre nel nostro Paese uno strumento assistenziale denominato Reddito Minimo Vitale. Infatti, a poche ore dalle consultazioni delle parti sociali da parte del Governo, uscito rafforzato dai drammatici passaggi politico-parlamentari degli scorsi giorni, con a tema le misure da assumere a breve sulla politica economica e sociale, qualche esponente politico, per di più appartenente alla squadra dei tecnici, si permette di dimenticare l’ordine dei fattori sulle emergenze sociali in atto nel Paese. Non è un caso se Bonanni & co abbiano segnalato che le prime questioni che si aspettano sono, in ordine, le misure di finanziamento degli ammortizzatori sociali, a partire dalle Casse Integrazioni in deroga, ovvero a favore di lavoratori dipendenti da imprese e datori di lavoro sprovvisti di questo strumento assicurativo-mutualistico e quindi a carico della fiscalità. In seconda istanza, i diversi mondi del lavoro (dei tanti lavori, in articolati e diversificati mercati del lavoro territoriali, settoriali e professionali) si aspettano un itinerario, lento ma progressivo, circa la riduzione delle tasse sul lavoro, ai fini di tutelarlo, sostenerlo, difenderlo, rilanciarlo. E queste misure appaiono quanto mai necessarie e urgenti, da cacciavite ma reali (come il click day degli scorsi giorni ha dimostrato).
Tutte le organizzazioni del lavoro (forse i banchieri a parte) si sono adoperate per scongiurare la drammaticità di un Paese senza guida, come poteva diventare l’Italia a fine settembre, richiedendo nel contempo poche e decisive misure per sostenere le imprese e in esse il lavoro, a partire dalla riduzione del cosiddetto cuneo fiscale; vedremo se in questi giorni se sarà possibile arrivare al traguardo di tale itinerario o se invece il premier Letta dovrà “correggere” qualche terzino della propria squadra, chiedendogli di stare nella propria zona a difendere la propria rete, evitando di confondersi con altri ruoli di centrocampo, o peggio, di attaccanti senza testa! Ma le Parti sociali, pur tra differenze ed equilibri non sempre allineati (anche per posizioni e interessi diversi), si aspettano qualche ragionamento di prospettiva su talune questioni che attendono di essere ricondotte a una logica di bene comune per il Paese, in primis le vicende industriali.
Infatti, a partire da Ilva e filiera dell’acciaio, che significa approvvigionamento dell’industria meccanica italiana, ci si attende che si rimettano al centro gli attori dei processi decisionali legittimi, in quanto non esiste Paese al mondo (oltre l’Europa quindi) dove la politica industriale possa essere dettata dalla magistratura. Inoltre, alcune recenti pronunciamenti delle massime corti, pur soggette al rigoroso rispetto da parte di tutti, sono indice di un “pesante vuoto” di decisioni comuni e condivise degli attori sociali, rappresentativi degli interessi reali in gioco nella combinazione dei fattori produttivi. Qui gli esempi potrebbero essere molteplici, compresi quelli sottaciuti dai media che vanno per la maggiore e che riguardano anche “l’impossibilità formale” di intervenire, guarda caso, sulle storture retributive di figure alte dei corpi dello Stato.
Ilva, Telecom (Alitalia è un caso a sé), varie filiere industriali e distributive (energia, edilizia, infrastrutture, ecc.) fino a Expo, stanno a testimoniare la necessità anche di una grande battaglia in Europa, per addivenire al superamento o quantomeno a una ridefinizione di ciò che è aiuto di Stato (lesivo della concorrenza) e ciò che invece è sostegno a filiere strategiche e decisive per il benessere di larghi strati di popolazione. Così come gli stessi sindacati debbono cominciare a considerare un tutt’uno virtuoso l’obiettivo della difesa del lavoratore con la sua occupabilità, con l’investimento formativo inteso non come optional ma come bagaglio integrato alla persona; persone che non si accontentano, ma continuano a imparare, ad accumulare conoscenze e capacità, somma che determina la competenza.
Assumere il capitale umano come fattore decisivo e spendibile, come vero e reale capitale sociale del sistema produttivo significa che in ogni piattaforma sindacale, in ogni richiesta ai vari interlocutori, in ogni apertura del confronto negoziale formazione e lavoro debbano andare di pari in passo, compresa l’assunzione delle forme e tipologie dei centri di erogazione dell’offerta formativa. Compiti non facili, non immediati, che tuttavia devono innescare processi di elaborazione e rappresentanza di interessi reali e non virtuali: la Cisl è consapevole di tale responsabilità e, criticamente, ha iniziato a interrogarsi e a formulare, con esiti talvolta fragili, qualche risposta, impegnando le proprie strutture a proporre iniziative e proposte che vadano in questa direzione.
Anche la decisione di affidare all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano una ricerca sui bisogni e sulle responsabilità dei quasi 10.000 rappresentanti Cisl nei luoghi di lavoro della Lombardia va nella direzione di “ascoltare” (molto di più e di diverso che “sondare”) indicazioni di prospettiva che i rappresentanti reali di una fetta di popolo possono indirizzare ai propri vertici associativi. La terza repubblica, forse, qualcosa dalle prime due deve imparare; discernere era uno dei leit motiv tratti dal Vangelo, amati e proposti dal Card. Martini alla Chiesa ambrosiana: abbandonare ciò che è inutile e trattenere e riproporre ciò che vale è il principio della tradizione ma anche una indicazione per l’oggi, una prospettiva culturale e operativa che vale per tutti, sindacati compresi.