Oggi il ministro del Welfare, Elsa Fornero, in un’intervista rilasciata su Il Corriere della Sera, aveva lanciato una serie di provocazioni relative alla gestione del suo dicastero, e alle ipotesi in ballo per riformare ulteriormente il mercato del lavoro. Oltre a dirsi favorevole all’introduzione del contratto unico, di un salario minimo garantito per i giovani, contestualmente a percorsi professionalizzanti e qualificanti, aveva toccato un tema tra i più incandescenti di sempre: l’articolo 18. E se, su queste pagine Guido Gentili afferma che, data la capacità dell’argomento di inasprire il dibattito, forse non è il momento giusto per parlarne, la conferma è arrivata a stretto giro. La Fornero aveva invitato i sindacati a non considerare la materia sul licenziamento un totem, e accettare una discussione all’insegna dell’onestà intellettuale. Il segretario confederale con delega al mercato del Lavoro, Fulvio Fammoni, le ha replicato, anzitutto, chiedendole di non parlare per slogan. E di mettere a tema la lotta al precariato e non la agevolazioni per i licenziamenti.
Quindi, «l’articolo 18 non si tocca», è il concetto di fondo del leader sindacale. Secondo il quale, non è proprio il caso si avanzare simili proposte in un momento in cui la recessione rischia di bruciare migliaia di posti di lavoro. Che, tra l’altro, avrebbero rappresentato l’ossessione del precedente titolare del Welfare, Maurizio Sacconi. Ora, per Fammoni, la priorità consiste nel mettere in piedi la riforma degli ammortizzatori sociali. «È evidente che non abbiamo nessuna intenzione di rinunciare all’articolo 18 che consideriamo una norma di assoluta modernità mentre invece vorremmo discutere davvero e non per slogan di lotta alla precarietà», ha dichiarato, sottolineando come la Cgil faccia già di per sé discussioni intellettualmente aperte. Poi, ha fatto capire che questo governo, non essendo legittimato da un voto popolare, per la sua stessa natura tecnica, non ha il diritto di emanare misure che «disegnano un nuovo modello sociale». Tra le altre cose, il dirigente del sindacato ha denunciato il fatto che dalla discussione sia del tutto sparita l’ipotesi di interventi per contrastare il lavoro in nero.
Sul contratto unico, invece, si è detto convinto che non serva. Ciò che serve, invece, sarebbe far costare di più all’azienda il lavoro precario, e di meno quello a tempo indeterminato. Occorre, inoltre, «garantire stesso salario per stesso lavoro indipendentemente dalla tipologia contrattuale».