In alcuni articoli e interviste apparsi recentemente su questo giornale, specie sui temi di carattere sindacale, si è percepita una diffusa propensione a indicare nuove rotte ai soggetti sociali e della rappresentanza. In particolare, si invoca un generale cambiamento nei percorsi sin qui intrapresi, sia in termini di posizionamento complessivo verso la politica e le istituzioni, sia nei comportamenti dei singoli leader dei corpi sociali e di rappresentanza: molti gridano alle necessità imposte dalla crisi, altri per assumere atteggiamenti di maggiore coerenza, altri ancora richiedendo futuribili risposte ai bisogni, alle ansie e alle inquietudini crescenti. Ma cosa conosciamo noi, ad esempio, delle questioni sindacali se non quello che finisce sui media, generalmente per fatti rilevanti sul piano delle “moltitudini” coinvolte?
Infatti, ci siamo fatti un’opinione sui sindacati sulla base di talune vicende che hanno appassionato il Paese (o parti di esso): dalle vicende Fiat all’Ilva di Taranto, dagli scioperi del trasporto pubblico locale (con città paralizzate e pendolari appiedati) alle resistenze sindacali sui “previlegi” di taluni settori pubblici e para-pubblici e il rosario (di spine) potrebbe continuare con molti altri esempi, anche del passato e che hanno inciso sulla mentalità e sulle opinioni prevalenti.
Non vi è dubbio che taluni dei fatti citati e altri ancora (noti e meno noti) mettono sotto accusa comportamenti incomprensibili dei sindacati (o parti di essi), dei loro capi, dei loro rappresentanti nei luoghi interessati e nei territori: in molteplici circostanze alcuni settori sindacali o istanze a essi riconducibili si sono fatti portavoce di interessi minoritari, corporativi e contrari a un interesse generale e complessivo, alle necessità di tenere in considerazione altri fattori presenti nelle circostanze concrete, compresi altri lavoratori, ingiustamente trattati e considerati di “serie B”, portatori di meno diritti e tutele.
Tuttavia esistono altri elementi, purtroppo meno conosciuti e meno dibattuti, che dovrebbero essere tenuti presenti nella valutazione e nel dibattito pubblico allorquando si dovesse rispondere alla domanda “a cosa servono i sindacati?” (per parafrasare il titolo di un famoso libro scritto da Pietro Ichino una decina d’anni orsono). Essendo i sindacati organizzazioni al plurale, ovvero sono diversi e, almeno in alcuni settori, non pochi, occorre in questo senso qualche distinzione, laddove gli stessi non sempre agiscono (o si presentano) come “cartello unitario e monolitico”.
Infatti, oltre alla più conosciuta triplice Cgil, Cisl e Uil, vi sono molte altre sigle, concentrate in settori diversi e meno trasversali delle tre citate, che hanno poteri molto estesi (pensiamo alla Fabi maggioritaria tra i bancari o allo Snals, molto radicato nella scuola); l’elenco potrebbe continuare anche in questo caso, dal potente e unitario sindacato dei giornalisti ai tanti sindacati dei medici (di famiglia, ospedalieri, di singoli settori professionali, ecc.) e via di questo passo.
Il lettore potrebbe domandarsi a questo punto dove si vuole andare a parare ovvero che cosa si vuole dire o a cosa ci si vuole riferire: in poche parole, chi si vuole difendere e chi si intende attaccare. Domanda legittima e opportuna: si intende semplicemente affermare che occorre evitare di fare di tutta l’erba un fascio, in quanto la realtà non è fatta solo dalle cose note o che i media ci fanno vedere.
Vi è una realtà di decine di migliaia di delegati sindacali nei luoghi di lavoro, appartenenti a organizzazioni diverse, che assumono e incarnano questo ruolo gratis, senza avere riconoscimenti o benefit aziendali e retributivi, che si intestano azioni e spesso qualche rischio solo per contribuire a rappresentare altri colleghi e colleghe nei confronti di management e datori di lavoro. Così come ci sono migliaia di consiglieri comunali e assessori, consiglieri di circoscrizione e di comitati di quartiere, membri di associazioni di rappresentanza di diverso orientamento e specificità, tutti accomunati da un mandato elettivo e di rappresentanza, che viene esercitato senza un formale tornaconto personale e che si sentono messi sulla “berlina del cambiamento”.
Ecco dove si vorrebbe andare a parare ovvero la necessità di indagare meglio e di più la realtà, in quanto si ha la sensazione che questo tessuto sociale, politico ed economico (è politica economica l’azione sindacale e di rappresentanza in generale), non sia adeguatamente preso in considerazione, salvo in taluni episodi patologici e di scandalo, di scostamento dagli obiettivi sociali proclamati. È un invito a indagare, a vedere meglio e di più, non per salvare tizio o caio, quelli non conosciuti da quelli conosciuti: si tratta di ampliare il raggio d’azione, attraverso interviste ad antenne sensibili, facendo parlare protagonisti e “comparse con ruolo”, dando voce non solo a disagi e incertezze, ma anche alla tanta responsabilità in azione da parte di singoli e singole che sentono di dover essere così nei luoghi dove sono, operano e lavorano.
Ma non è per questi santi minori che, ad esempio, va avanti la scuola in Italia? Non è per sacerdoti, suore e volontari (credenti e non credenti) che si accolgono migliaia di persone (giovani, anziani e bambini) in affanno e in bisogno di tutto? E gli ospedali come vanno avanti di notte e nelle feste comandate? L’invito è a non dare per scontato nulla e di chiamare sempre le cose per nome e per cognome.