29 giugno, a parlare è la procuratrice presso il Tribunale dei minori di Napoli, Maria de Luzenberger: “Sono 17 anni che assisto a questa situazione piena di lacune, e sono anche stanca di ripeterlo. Abbiamo un’evasione scolastica da terzo mondo, anzi forse anche peggiore del terzo mondo. Ma poco o nulla è cambiato, e molti dirigenti scolastici – soprattutto quelli che operano in realtà ambientali più degradate – hanno anche paura di segnalare i dati”.
E noi cosa facciamo? Cosa mai potrà fare un giornale? Cosa possono fare tutti coloro che dedicano tempo e passione al destino della scuola italiana? C’è lo chiediamo spesso, di fronte ai problemi che si incancreniscono, quando assistiamo senza che nessuno se ne occupi con la necessaria determinazione che tutto degrada inesorabilmente.
Non bisogna tacere, a costo di risultare ripetitivi. Se solo una persona si associa alla nostra battaglia ogni volta che ne parliamo abbiamo fatto il nostro dovere. Iniziamo quindi da qui, dal compito elementare di non far cadere il velo su situazioni che meriterebbero la massima attenzione.
6 luglio, escono i dati Invalsi per il 2022. Qualche articolo, un paio di interviste, le solite dichiarazioni di chi non crede a quei dati, chi li contesta a prescindere senza portare uno straccio di numero, poi il silenzio. Ma noi non ci arrendiamo. Ne hanno scritto autorevolmente su questo giornale – forse l’unico davvero in prima linea – Maurizio Vitali, Tiziana Pedrizzi, Marco Bardelli, Pietro Marzano. Mi aggiungo al loro grido di allarme. Non possiamo accettare come una realtà di fatto che più della metà dei nostri ragazzi che vivono al Sud non abbiano la padronanza della lingua italiana o non sappiano come risolvere un elementare problema di matematica. È un intero sistema sotto accusa, che precipita velocemente sotto il livello di guardia.
Altro dato accolto con qualche sorrisetto di troppo: lo stesso 6 luglio, il Censis ha pubblicato la classifica degli atenei italiani per quest’anno. Tutte le università campane e delle altre regioni meridionali sono precipitate agli ultimi posti (la Federico II è decima su dieci tra i mega-atenei, nelle altre categorie finiscono in fondo quella di Salerno, la Vanvitelli di Caserta, la Partenope, e via via tutte le altre) con distacchi dai migliori atenei del Centro-Nord ormai incolmabili. Il dato è confermato dal crollo delle iscrizioni, solo momentaneamente tamponato durante la pandemia, grazie all’abolizione per molte università delle tasse di iscrizione. Ma il trend è univoco e ci rivela una perdita di iscritti per gli atenei meridionali negli ultimi due decenni di oltre il 30%. L’esodo di massa dei più bravi e dei più ricchi copre solo in parte questa perdita.
Anche in questo caso, dai rettori in questione solo sorrisetti, difese di ufficio, si dice che non si è valutata la qualità della didattica, appelli alla storia culturale millenaria del Mezzogiorno, come sappiamo patria di scienziati e grandi personalità. Come se la storia – aver dato i natali a Vico e a Croce – rappresentasse in qualche modo un’attenuante e non un aggravante nel giudizio da dare sui presenti, gli attuali responsabili dell’organizzazione formativa e culturale che operano nel Mezzogiorno.
Se tre indizi sono una prova, qui abbiamo tre dati inconfutabili che confermano un quadro purtroppo definitivo. Non ci sono, dobbiamo dirlo, politiche ordinarie che possono realisticamente modificare questa situazione. Se non operiamo subito per un piano eccezionale di intervento che modifichi strutturalmente il nostro sistema e intervenga – per molti anni – a sanare il divario, il “limite di guardia” ormai abbondantemente superato rappresenterà la ragione principale del sottosviluppo.
Torniamo allora alle dichiarazioni della procuratrice de Luzenberger e domandiamoci se il livello di apatia e di defezione a cui è giunto chi dovrebbe organizzare e guidare un tale intervento non sia il qualche modo la causa di questo veloce precipitare della situazione. Il compito di chi ha la responsabilità di dirigere le scuole e le università, il ruolo di chi organizza le politiche sociali sul territorio, non può prescindere da due condizioni: la prima, accettare la realtà delle cose e denunciarle, non contribuire a nascondere la polvere sotto il tappeto; la seconda, operare come se si fosse in trincea, con sacrificio e sapendo che ci sono nemici da combattere.
Non lo si vuol fare? Lo si dica chiaramente, ci sono sedie molto più comode su cui sedere. Cambiare i generali a volte è indispensabile, prima ancora di chiedere all’esercito di insegnanti, operatori culturali, assistenti sociali (quei pochi che sono rimasti) di fare fino in fondo il loro dovere. È una guerra all’ignoranza e per salvare il nostro futuro e non possiamo continuare a trattare così i nostri giovani.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.