Accordo raggiunto sui migranti in Consiglio degli Affari interni dell’Ue, dopo una maratona negoziale di 12 ore, con il voto a favore dell’Italia e quello contrario di Polonia e Ungheria. C’è una novità, anzi due. La prima: per la prima volta si parla di inviare i migranti che non ottengono asilo in “Paesi terzi sicuri”. “È un elemento nuovo, estraneo ad ogni draft precedente” spiega in questa intervista Mauro Indelicato, giornalista de Il Giornale e InsideOver, esperto di tematiche migratorie.
Il secondo elemento di novità è un fondo europeo alimentato dalle quote in denaro corrisposte dai Paesi che non prendono i migranti. Tale fondo dovrebbe sovvenzionare le iniziative europee di intervento nei Paesi di provenienza per ridurre o evitare le partenze.
Ma andiamo con ordine. Nel corso della trattativa, iniziata in salita, era sembrato che l’accordo potesse naufragare. E l’Italia, insieme ad altri nove Paesi – Grecia, Austria, Danimarca, Ungheria, Slovacchia, Malta, Bulgaria – in un primo momento ha votato contro. La Germania ha perfino ipotizzato di sospendere lo spazio Schengen. Poi la mediazione e l’urgenza di trovare un compromesso hanno portato all’accordo sui due principali pilastri del codice Ue, la procedura d’asilo (Apr) e la gestione dell’asilo e della migrazione (Ammr).
Partiamo da una dichiarazione conclusiva di Piantedosi. “Abbiamo scongiurato l’ipotesi che l’Italia e tutti gli Stati membri di primo ingresso venissero pagati per mantenere i migranti irregolari nei propri territori” ha detto il ministro dell’Interno. Che cosa significa?
L’Italia temeva una parte del nuovo piano, quella che riguarda la maggiore responsabilità data ai Paesi di primo sbarco, i quali devono farsi carico non solo della prima accoglienza ma anche delle domande di asilo, che devono essere esaminate in tempi più brevi, entro 12 settimane. Questo ha tranquillizzato la Germania, perché dà ai Paesi del Sud Europa l’onere di controllare le frontiere esterne, ma poneva Stati come Italia, Spagna, Grecia in posizione di maggiore sofferenza.
Cosa compensa il ruolo di “poliziotto” delle frontiere esterne svolto da questi Stati più esposti?
Sulla carta c’erano due ipotesi, entrambe destinate alla bocciatura. Una era la redistribuzione volontaria: conosciamo bene gli squilibri che ha prodotto e il no dell’Italia era scontato. L’altra era la redistribuzione obbligatoria. Il no dei Paesi di Visegrád sarebbe stato automatico.
Quale mediazione si è trovata?
Una soluzione basata sulla solidarietà cosiddetta obbligatoria: i paesi che non si fanno carico della quota di migranti loro spettante devono sborsare 20mila euro per migrante non accolto.
È evidente che se questi soldi vanno al Paese di primo approdo, esso rischia di rimanere chiuso nella trappola dell’accoglienza sovvenzionata da chi non vuole i migranti.
Esatto. È quello che temeva Piantedosi. Un’ipotesi che nel corso del vertice ha rischiato di prendere corpo, facendo dell’Italia il campo profughi d’Europa, ma che pare scongiurata con la creazione di un fondo gestito da Bruxelles per le iniziative dell’Ue nei Paesi esterni. L’obiettivo è alleviare le criticità e diminuire le partenze.
Nell’accordo ci sono i Paesi terzi sicuri. Che ruolo hanno?
Per la prima volta si parla di inviare i migranti che non hanno ottenuto asilo in Paesi terzi ritenuti sicuri. È la vera grande novità, non era prevista alla vigilia e non faceva parte di nessun piano precedente.
Nel pomeriggio di ieri è emersa la contrarietà della Polonia. Il viceministro degli interni polacco ha equiparato il contributo finanziario per ciascun migrante non accolto a una “sanzione”, definendo il meccanismo inaccettabile.
Polonia e Ungheria compenseranno sul lato finanziario i migranti che non sono più obbligate ad accogliere. Il loro è stato un no politico: sapevano che l’accordo sarebbe comunque passato, ma adesso, col nuovo sistema, i loro governi potranno dire ai cittadini che non arrivano nuovi migranti.
Il voto a maggioranza qualificata, ovvero il 55 per cento degli Stati membri e il 65 per cento della popolazione, era una novità?
Sì, per evitare alla Commissione di terminare il mandato senza risultati concreti. Sarebbe stato praticamente impossibile trovare un nuovo accordo in breve tempo.
Cosa significa quello che ha detto ancora Piantedosi, “riteniamo che sia un giorno in cui parte qualcosa e non solo sia un giorno di arrivo”?
Il Governo di Roma ha detto sì perché ha rilevato importanti novità rispetto al passato, però l’accordo contempla anche una clausola di revisione da qui a 1 o 2 anni. È possibile che l’Italia voglia tenere la porta aperta a ritocchi migliorativi. Ovviamente non è solo una nostra prerogativa.
Nel fine settimana Meloni, von der Leyen e il premier olandese Rutte saranno a Tunisi. Cosa si può dire di questo viaggio?
È l’immediato banco di prova di quella “dimensione esterna” che è stata inserita nell’accordo. Anzi, in sede di trattativa eventuali perplessità dell’Italia sui meccanismi interni potrebbero essere state superate proprio grazie al coinvolgimento dell’Europa nei contesti di partenza. Va anche detto che l’impegno dell’Italia nell’interlocuzione con Tunisi ha già ottenuto risultati, perché nel mese di maggio le partenze sono diminuite.
(Federico Ferraù)
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.