Domani torna a riunirsi il board della Banca centrale europea. Un appuntamento che molti analisti seguiranno con attenzione per capire se arriveranno messaggi su una revisione delle politiche monetarie portate avanti da oltre un anno per contrastare gli effetti della pandemia e che hanno avuto ricadute positive per il nostro Paese.
Come ricorda l’ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie Francesco Forte, infatti, «la Bce in questi mesi ha comprato titoli di stato italiani in una quantità superiore a quella prevista dal criterio della capital key, ma una volta terminata l’emergenza occorre tornare alla normalità: non si possono aiutare maggiormente alcuni Paesi rispetto ad altri».
Gli ultimi dati e stime sul Pil sembrano indicare una ripresa del nostro Paese persino superiore alle aspettative. Vuol dire che il ritorno alla normalità si avvicina?
L’Italia sta emergendo come Paese con una buona capacità di recupero, specialmente sul lato del commercio estero. Tuttavia, la ripresa appare attualmente basata in larga misura sulle spese correnti e non di investimento. Quest’ultime appaiono oltretutto indirizzate alla ricostituzione di scorte. C’è poi un mercato del lavoro ingessato, oltre che una magistratura che interferisce su questioni economiche e industriali, come si sta venendo nel caso dell’ex Ilva. Tutto questo crea una difficoltà strutturale al rilancio produttivo e genera un problema di cui ci ha avvertito l’Ue.
Quale?
Il permanere di un debito pubblico eccessivo che è aumentato in questa fase di emergenza. Per questo sarebbe utile che l’intervento dell’operatore pubblico nell’attuare il Recovery plan e gli investimenti venga minimizzato. Tra non molto potremo dover tornare a fare i conti con il Fiscal compact.
E questo ci riporta anche all’importanza del supporto della Bce. Secondo lei, quando ci sarà un cambiamento nella politica monetaria dell’Eurotower?
Non penso a breve. Questo sia perché l’Italia è too big to fail, sia perché a palazzo Chigi c’è Draghi, al momento unica figura europea di rilievo visto il tramonto della Merkel e le difficoltà di Macron. Tra l’altro non credo che il Premier voglia lasciare il suo incarico per diventare il successore di Mattarella.
Perché?
Perché se venisse eletto presidente della Repubblica dovrebbe rinunciare a priori a due possibili incarichi internazionali cui può ambire: diventare il Presidente della Commissione europea o il Direttore generale del Fondo monetario internazionale. Credo sarebbe meglio anche per l’Italia se preferisse non andare al Quirinale. Certo questo non vuol dire che finché Draghi resterà a palazzo Chigi la Bce non cambierà i propri programmi di acquisto di titoli di stato. Come non si può escludere che l’Europa decida di rendere in qualche modo permanente il Recovery fund visto che farebbe comodo alla struttura burocratica europea continuare ad avere questo regime di potere eccezionale.
Un potere eccezionale perché consente di dettare più facilmente l’agenda dei Paesi membri?
Non solo. Nella storia ho sempre visto che quando si introduce una cosa che sembra transitoria quasi sempre poi diventa permanente. Finora non c’è stata una vera politica europea su alcuni temi, come per esempio la difesa, per cui un meccanismo come il Recovery fund non fa che rendere più rilevante e significativa la struttura europea. Inoltre, visto che stiamo parlando di un fondo con ingenti risorse non mancheranno gruppi di pressione che vorranno poterne in qualche modo disporre. Per questo ci saranno molte ragioni per arrivare a rendere strutturale il Recovery fund. Ciò non toglie che essere debitori non è positivo e che i mercati sono imprevedibili, quindi è bene che nel nostro Paese si lavori per non essere troppo esposti ai rischi.
(Lorenzo Torrisi)
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