Durante la finale degli Australian Open vinta ieri contro Rafael Nadal, il tennista numero 1 al mondo, Novak Djokovic, ha più volte ripetuto il segno della croce. Il gesto ha fatto discutere e un noto giornalista sportivo di Sky, Stefano Meloccaro, ha definito su Twitter “stucchevole fanatico e un po’ coatto” l’atteggiamento di Djokovic che si è fatto il segno della croce diverse volte durante la partita. Il giornalista ha poi rincarato poi la dose su twitter scrivendo: “Non discuto il campione Nole ma: 1 i segni della croce coatti, 2 la (poca) bellezza del gioco 3 Rafa ormai perdente come Roger”. Al riguardo ilsussidiario ha intervistato Roberto Perrone, giornalista del Corriere della Sera, che ha espresso il suo pensiero generale sul tema fede nello sport, non avendo assistito alla discussione.
Noi assistiamo a molteplici manifestazioni di fede in molti eventi sportivi, pensiamo agli atleti di Cristo ad esempio: devono restare fuori dallo sport?
“Sinceramente non sono per la coerenza assoluta, non mi scandalizzo se uno si fa il segno della croce sul campo o cose simili. Bisognerebbe chiedere a sé stessi e alla propria vita: se tutto si risolve nel farsi il segno della croce quando entro in campo, quando esco o quando segno, mi sembra un po’ ridicolo. Se invece tutto questo nasce da una vera esperienza di fede è un altro discorso. Questo mi permetto di dire, poi ognuno fa quello che vuole”
Ci spieghi meglio.
“Io non mi scandalizzo a vedere segni della croce, preghiere dell’Islam o quant’altro, negli stadi ci sono delle cose ben peggiori di queste, la gente dovrebbe pensare a quello che viene detto negli stadi italiani, agli insulti che girano, alla stupidità imperante nel nostro calcio…ci sono cose molto più gravi che star lì a contare i segni della croce eccetera…”.
Djokovic si sta costruendo un suo personaggio, anche con la stampa regala diverse gag: ritiene che queste manifestazioni di fede facciano parte del gioco o sono espressioni sincere?
“Per come ho conosciuto Djokovic, mi sembra che facciano parte non del personaggio ma della persona. Uno fa queste cose se le sente veramente: lui si sente in certi momenti di ringraziare veramente nostro Signore e lo fa, non credo sia qualcosa di precostituito”.
(Carlo Necchi)
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