Mostruosa, disumana, aliena, chiamatela come vi pare: la sostanza non cambia. Diciamolo pure: l’oro olimpico del tennis femminile era annunciato, a favore di Serena Williams, da almeno 28 giorni, da quando cioè avevamo visto la più piccola delle sorelle abbattere Agnieszka Radwanska nella finale di Wimbledon. L’unico dubbio riguardava non tanto la concorrenza, quanto il suo stesso stato di forma e mentale: abbiamo detto più volte che se Serena sta bene, non ha problemi fisici ed entra mentalmente nelle partite non ha rivale che la possa contrastare. Il perchè? Ha una muscolatura che le consente di tirare a tutto braccio quasi quanto un uomo (no: come un uomo), intanto. Mettete una qualunque giocatrice contro una prima di servizio di Serena: se va bene, rimanda di là la pallina e viene infilata al colpo successivo. C’è chi dice che senza quella forza nelle braccia non vincerebbe mai, il partito contrario fa notare che tecnicamente non ha rivali al di là dei muscoli. Che prevalga una tesi o l’altra, il fatto evidente resta: la Williams è sconcertante, e alle avversarie viene da dire: meno male che ha superato i 30 anni, perchè un altro decennio con lei in campo sarebbe stato scoraggiante. Arriviamo subito al dunque: nella finale per la medaglia d’oro, sul centrale di Wimbledon, Serena sfidava Maria Sharapova, mica una qualunque. La stessa Maria che nel lontano 2004, e diciassettenne, aveva battuto una Williams convinta di poter vincere il terzo slam londinese in fila. La Sharapova, mica una sprovveduta. Già, peccato che Serena si fosse presentata alla partita per l’oro avendo perso zero set e un numero massimo di 5 game contro Urszula Radwanska (a sorpresa, tra l’altro). Tra le sue avversarie, anche l’attuale numero uno del ranking WTA, Vika Azarenka, che da qualche parte nel secondo set ha quasi avuto una crisi di pianto per quanto era impotente di fronte a Serena che la stava spazzando via. Oggi, più o meno, stessa scena: superato lo shock visivo di magliette colorate sul centrale di Wimbledon (del resto i giorni precedenti ci avevano abituato), la Williams ha iniziato con un parziale di 12 punti a 2, un break e la partita segnata in modo irreparabile. Dopo 30 minuti, il tabellone recitava 6-0, con Maria Sharapova capace di portare il game ai vantaggi in una sola occasione, peraltro subito scappata via. Da raccontare non c’è poi tutto questo granchè: sui propri turni di servizio, Serena o faceva ace (saranno 10 alla fine) oppure indirizzava lo scambio grazie alle percentuali (67%). Quando non chiudeva direttamente, lo faceva con un rovescio lungolinea o un dritto in diagonale, tutto a velocità doppia rispetto a qualunque giocatrice. La Sharapova, poverina, ci ha provato a rimanere aggrappata mentalmente al match, ma quando si è trovata sotto 3-0 anche nel secondo set ha capito che poteva già considerarsi fortunata nel prendere l’argento. D’inerzia ha vinto il primo game della partita gusto per non essere totalmente umiliata (non che sia molto diverso), poi ha avuto addirittura due palle break per recuperare lo svantaggio, ma per una Williams così si è trattato di pensarci su un secondo in più e poi tornare a sparare missili imprendibili. E’ finita in 63 minuti, forse anche troppi per il canovaccio del match. Serena vince l’unico titolo che ancora le mancava, rischia di fare il bis nel doppio, dove gioca con la sorella Venus, che oggi dagli spalti rideva come una matta nel pensare alla fortuna che ha di giocare con una tipa così (non che lei stessa sia da meno, intendiamoci). Il dominio di Serena riporta alla mente quello di Steffi Graf, forse l’unica tennista dell’era moderna che abbia avuto un periodo nel quale nessuno potesse avvicinarla; e fa venire in mente il momento in cui la tedesca decise che era venuto il momento di appendere le scarpe e la racchetta al chiodo, ovvero quando si rese conto che lo strapotere fisico di Venus Williams era troppo anche per lei, che soiltamente a quella voce demoliva tutte le avversarie. Il punto è che poi è arrivata Serena, che ha sovrastato la sorella:
Impossibile tenere uno scambio con una così, l’unica soluzione è quella di farla spostare e correre, ma prima di farlo devi resistere al servizio o a qualche colpo di risposta. E, forse, la presenza della più piccola delle Williams sulla scena ha contribuito – non certo per sua colpa diretta, ci mancherebbe – a rendere poco entusiasmante il livello del tennis femminile di oggi: si dice che la presenza di un campione obbliga gli aversari a migliorare per batterlo, ma a ben guardare Serena è forse talmente dominante e talmente imbattibile che le altre si dicono: “Finchè c’è lei, non vincerò mai”, e quindi vivacchiano in attesa che venga la loro ora. Nè l’ottima Kvitova di Wimbledon 2011, nè la Azarenka che ha giocato due anni ai massimi livelli, nè la Sharapova tornata al top dopo gli infortuni sono riusciti anche solo a limitare la grandezza di questa giocatrice. Lei, di questi discorsi se ne infischia, e fa bene: ha vinto tutto, e può continuare a farlo chissà ancora per quanto. Le altre sperano che non sia troppo tempo.
(Claudio Franceschini)