A Roma è scoppiata la bufera. Protagonista, manco a dirlo, Francesco Totti, colui che, parole del ds Walter Sabatini, “rischia di uccidere la Roma”. Parole forti, fortissime. Sabatini, nel corso della conferenza stampa di ieri, ha bacchettato pubblicamente il capitano come forse mai nessun altro si era permesso prima. Il processo di picconamento era già iniziato con Luis Enrique. Il tecnico spagnolo ha voluto costruirsi da subito – magari esagerando un po’ – la fama del duro, di quello che non guarda in faccia a nessuno. Ed è pronto a mandare in panchina chiunque. Anche i monumenti. Come Totti, appunto. Nella visione egualitaria di Luis tutti hanno gli stessi diritti e doveri. Se Okaka è più in forma del Pupone, gioca Okaka, senza discussioni. E’ un calcio, quello predicato dall’asturiano, molto dispendioso, un 4-3-3 fatto di perfetta copertura del campo, raddoppi e tanto, tanto possesso palla. Alla catalana, insomma. Obiettivamente non sembra un vestito cucito su misura per Totti. Ma qui nasce spontanea la domanda: ma perché dovrebbe esserlo? O meglio, perché bisognerebbe scegliere i moduli in base al capitano, per quanto importante sia? Ed infatti Sabatini, nel suo intervento pubblico, ha voluto chiarire alcuni punti in materia. La nuova Roma sta nascendo, sta muovendo i primi passi, magari con fatica. E va lasciata piena libertà di pensiero e di agire a Luis Enrique. Faccia le scelte che ritiene più opportune. E basta. Anche perché, qualora dovesse andar via lo spagnolo causa Totti, il problema si ripresenterebbe uguale uguale con un altro allenatore. E quindi, basta, lasciamo lavorare il mister. Totti, come ha spiegato il ds, deve capire che alla sua età – e alla vigilia della sua ventesima (!) stagione in giallorosso – non può giocare tutte le partire. Per di più, può essere anche più utile se ne gioca 20 di partite, piuttosto che 30. E vada in panchina con il sorriso, pure per dare il buon esempio ai più giovani. “Totti deve mettere da parte ogni vanità per aiutare il gruppo, altrimenti il suo caso rischia di uccidere la squadra”, è stato il duro monito lanciato da Sabatini. Uccidere la squadra. A questo siamo arrivati. La volontà del dirigente sembra chiara. Lui non vuole ‘uccidere’, a sua volta, il totem chiamato Totti. Ma semplicemente preservare squadra e progetto. E fargli capire che non deve necessariamente scatenarsi il finimondo per qualche panchina, magari di troppo. Del resto la società ha preso ben 4 nuovi attaccanti, tutti giovani e talentuosi: Bojan, Osvaldo, Lamela e Borini.



Indice di una scelta chiarissima: iniziare a preparare il terreno della successione. Perché il capitano non è mica eterno. I suoi amanti diranno: ma lui è ancora decisivo, pure con una gamba sola. E i detrattori replicheranno: ormai ha fatto il suo tempo, quanti anni potrà giocare ancora? Magari potrà continuare a farlo in America. Fino a qualche mese fa sembrava follia il solo poter pensare una cosa del genere, ma adesso no. Totti, dopo le esternazioni di Sabatini, ha scelto di rimanere in silenzio. Il classico silenzio assordante. Lui, di appoggiare pubblicamente il tecnico, come gli ha chiesto di fare il ds, non vuole proprio saperne. Il suo orgoglio è smisurato. E potrebbe farlo propendere per una scelta clamorosa. Accettando un’eventuale offerta proveniente dal calcio Usa. Magari dai Los Angeles Galaxy di Beckham, come ipotizzato dalla Gazzetta. Insomma, il caso Totti potrebbe conoscere sviluppi clamorosi. Un’intera città segue – in un mix di preoccupazione e curiosità – la vicenda.



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