Domenica scorsa (28 giugno 2015) si è conclusa la prima stagione del campionato automobilistico di Formula E, nuova disciplina sportiva introdotta quest’anno dalla Federazione Internazionale dell’Automobile (FIA). Il titolo è stato vinto da Nelson Piquet Jr, nipote del tre volte campione del mondo in Formula 1 (1981, 1983, 1987): il brasiliano ha preceduto di un solo punto lo svizzero Sebastian Buemi, sul podio conclusivo anche l’altro pilota verdeoro Lucas Di Grassi.



La Formula E si è proposta agli appassionati di motori in maniera discreta ma non troppo: i vertici della categoria hanno ribadito più volte di non voler fare concorrenza al colosso della Formula1, per media e tifosi però il paragone può essere interessante. Chissà però che in un lasso di tempo relativamente breve la nuova creatura della FIA non possa rubare sempre più tifosi alle corse tradizionali; prospettiva al momento difficile da ipotizzare ma non inimmaginabile, considerando che proprio la Formula 1 negli ultimi tempi è stata più volte etichettata come ‘noiosa’ o poco divertente. Al momento Lewis Hamilton e colleghi mantengono un rimbombo mediatico di gran lunga superiore ed è anche normale che sia così, per la lunga ed appassionante storia della F1 in cui sono inseriti. D’altro canto la flessione d’interesse registrata nelle ultime stagioni potrebbe portare il pubblico a spostare l’attenzione sulla neonata Formula E, quantomeno per verificarne di persona peculiarità e differenze. In tal senso si parla spesso della nuova categoria come del ‘futuro dell’automobilismo’, in virtù dei suoi veicoli elettrici spinti a batteria e non a benzina, come le monoposto cui siamo abituati.



A prescindere dai discorsi più strettamente tecnici, vale la pena interrogarsi per capire i margini di crescita della Formula E anche a livello commerciale. Il cast per esempio avrà un ruolo non indifferente e in tal senso la FIA si è già attrezzata, preparando una macedonia ben composta tra piloti ex Formula 1 (per citarne alcuni Jean-Eric Vergne, Nick Heidfeld, Takuma Sato, Sebastien Buemi, gli italiani Jarno Trulli e Vitantonio Liuzzi), nomi di richiamo (Piquet Jr, Nicolas Prost figlio di Alain, Bruno Senna nipote di Ayrton) o varie ed eventuali come le donne Michela Cerruti e Katherine Legge, cimentatesi in tre-quattro occasioni. Per tutti loro la Formula E si presenta come un’ottima opportunità di rimettersi in gioco e in evidenza, anche se il gap con i ‘fratellino’ della F1 resta ampio, in termini di guadagni e visibilità. Dopo l’ultimo Gran Premio corso a Londra il responsabile della Formula E Alejandro Agag ha definito la stagione d’esordio ‘un successo’, annunciando che uno degli obiettivi per l’anno prossimo è quello di oltrepassare nuovi confini: si parla ad esempio di una gara in Africa o anche in India. La struttura dirigente della categoria sembra dunque aver le idee chiare, presupposto indispensabile per progettare e prevedere una crescita.



Sarà il futuro, magari anche prossimo, a stabilire quanto spazio riuscirà a ritagliarsi il nuovo sport, soprattutto in termini di audience. Senza dimenticare che in fondo, Formula 1 o Formula E che sia, sempre di gare automobilistiche si tratta: lo spettatore medio dovrebbe orientarsi in base allo spettacolo offerto (competitività, sorpassi), senza pensare troppo alla composizione di motori, telai ed affini. Quanto ai tifosi più specifici ed accaniti il discorso è diverso: per ragioni storiche la Formula 1 ne conta una marea e probabilmente sempre ne annovererà, la neonata Formula E invece ha appena cominciato a farsi campagna.

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