Mercoledì 14 maggio si è aperta la 61ª edizione del “Festival International du Film” di Cannes, la grande “vetrina” cinematografica europea insieme alle tradizionali Mostra del Cinema di Venezia (settembre) e “Internationale Filmfestspiele” di Berlino (febbraio).
Appuntamenti, almeno i primi due, dai destini incrociati, non solo per gli ovvi motivi di primissimo lancio e successiva distribuzione commerciale delle opere che vi si presentano ogni anno. Negli anni Trenta, infatti, proprio per costituire un’alternativa alla “Esposizione Internazionale d’Arte Cinematografica” nostrana, nata nel 1932 nell’ambito della XVIII Biennale di Venezia e dove sia l’Italia di Mussolini che la Germania di Hitler la facevano da padrone, un gruppo di critici, intellettuali e uomini di cultura francesi (tra cui Louis Lumière, uno degli inventori del Cinematografo) presentò al proprio governo una petizione che chiedeva la creazione di una manifestazione più equilibrata.
Ironia della sorte, la prima edizione del Festival, che avrebbe dovuto svolgersi nel settembre 1939, fu annullata per lo scoppio della Seconda guerra mondiale, con l’invasione tedesca della Polonia. Solo nel 1946 si sarebbero riaccesi i riflettori sulla Croisette per un appuntamento che, tra annullamenti per problemi finanziari e mancanza di fondi, spostamenti di sede e di stagione (dall’autunno alla primavera), sfonda quest’anno il limite delle sessanta rassegne. Dodici giorni di cinema che si chiuderanno nella serata di domenica 25 maggio con l’assegnazione di una decina di riconoscimenti: dall’ormai proverbiale Palma d’Oro per il miglior film al Gran Premio speciale della Giuria, passando per quelli ai migliori attore, attrice, regia, sceneggiatura, cortometraggio e opera prima (la cosiddetta “Caméra d’or”).

Il nostro Paese – con cui il Festival si è sempre mostrato generoso (basti pensare, per restare al recente passato, all’accoglienza tributata ai nostri Nanni Moretti, Roberto Benigni e Marco Tullio Giordana) – ha due film in concorso. Il primo, attualmente in uscita nelle sale italiane e che verrà presentato oggi al Grand Théâtre Lumière, è Gomorra, tratto dall’omonimo best-seller – più di un milione di copie vendute – di Roberto Saviano e adattato per lo schermo da Matteo Garrone, il regista de L’imbalsamatore (2002) e Primo amore (2004); «un film di guerra ambientato nel 2007 a 150 km da Roma» come l’ha definito lui stesso, e dove «studiare questa umanità è stato l’aspetto che mi ha interessato maggiormente».
Venerdì 23 maggio sarà invece la volta de Il divo di Paolo Sorrentino, controverso ritratto – «sullo sfondo dei cinque anni cruciali della storia politica e del costume del nostro paese, dal 1991 al 1996» – dell’attuale senatore a vita Giulio Andreotti, il cui parere in merito non si è fatto attendere («È una mascalzonata! Mi sembra un film nato nel clima in cui per molto tempo ho dato fastidio. D’altra parte, raccontando una vita piuttosto calma come la mia, chi andrebbe a vedere il film?»).
Scopriremo solo tra una settimana quale sarà il giudizio (ufficiale) al proposito della giuria presieduta da Sean Penn, tra i cui membri troviamo Sergio Castellitto, Natalie Portman e Alfonso Cuaron, dovendosela i due anche vedere, tra gli altri, con tre film francesi (Entre les murs, Un conte de Noël e La frontière de l’aube) e le ultime fatiche di Walter Salles (Linha de passe, firmato con Daniela Thomas), Jean-Pierre e Luc Dardenne (Le silence de Lorna), Clint Eastwood (Changeling), Steven Soderbergh (Che), Atom Egoyan (Adoration) e Wim Wenders (Palermo Shooting).

In due diverse sezioni festivaliere laterali ci sono invece altre due opere tricolori. Una è Sanguepazzo (“Una Storia italiana” è il sottotitolo con cui compare nel programma ufficiale del Festival), l’ultima fatica del già citato Giordana che racconta la carriera e il tragico epilogo della coppia d’oro del cinema fascista, sullo schermo e nella vita, costituita dagli attori Osvaldo Valenti (interpretato da Luca “Montalbano” Zingaretti) e Luisa Ferida (Monica Bellucci) e presentata tra le proiezioni speciali fuori concorso: «Ho scritto questo film 25 anni fa. È da sempre che lo voglio fare. Ritengo quelle pagine di Storia cruciali per capire chi siamo, ne sento, bruciante e irrisolta, ancora tutta l’attualità». L’altra è Il resto della notte di Francesco Munzi, nella Quinzaine des realisateurs, una storia ambientata nel Nord Italia per la quale il regista ha dichiarato di volersi ispirare «ad uno dei tanti casi di cronaca nera che condannano il nostro paese, una rapina in una villa e attraverso un solido intreccio narrativo, raccontare in maniera alternata le vite dei rapinatori e quelle delle vittime, lungo le giornate precedenti il crimine. Il desiderio era di costruire personaggi lontanissimi per carattere, ceto, nazionalità e fare con loro un viaggio metaforico nel nostro paese di questi anni».

Senza dimenticare (rigorosamente “hors compétition”) il nuovo Woody Allen “spagnoleggiante” (Vicky Cristina Barcelona), l’ultimo capitolo della più amata saga spielberghiana (Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo), l’omaggio del talentuoso Emir Kusturica – Palma d’Oro 1995 con Underground – al Genio del calcio (il documentario Maradona by Kusturica)… Che altro dire? «Mesdames, Messieurs, faites vos jeux!».
(Leonardo Locatelli)
(Foto: Imagoeconomica)