Che cosa ha voluto raccontare, interpretare, raffigurare il buon Quentin Tarantino con questo suo ultimo film? La parola ai cicisbei della borghesia radical chic che lo hanno già coronato capolavoro del 2009. E qui le interpretazioni si affastellano: il cinema che cambia la storia, la dimensione filmica come unica capace di far vincere i buoni, la catarsi dal nazismo di cui solo larte è capace, la vendetta ebraica sullolocausto e via dicendo. Bello. Ma siamo proprio sicuri che anche Inglourious Basterds (sic) possa davvero considerarsi fra i migliori film di Tarantino?



Procediamo con ordine, la trama è la seguente: 1) Francia 1941: una giovane ebrea, scampata a un rastrellamento conclusosi con la strage dei suoi familiari, diventa proprietaria di un cinema a Parigi. Quando il suo locale, tre anni dopo, viene scelto per la presentazione di un film di propaganda, cui assisterà il gotha del Terzo Reich, decide di dare alle fiamme la sala e uccidere tutti gli spettatori. 2) Un manipolo di soldati ebrei americani, i Bastardi, capeggiati da Aldo Raine/Brad Pitt, parte per la Germania con lintenzione di vendicarsi delle atrocità dellolocausto attraverso il brutale omicidio di quanti più nazisti possibile. 3) Un ufficiale inglese viene spedito dietro le linee nemiche per organizzare un attentato contro i gerarchi nazisti. Queste tre vicende si incrociano. Emergono, allinterno della trama, altre due figure di rilievo: un colonnello delle SS, brillante, poliglotta, astutissimo, e lattrice tedesca (fittizia) Bridget von Hammersmark, interpretata dalla splendida Diane Kruger.  

Non stiamo qui a spiegare tutti i risvolti deliranti della vicenda, ci basti sapere che la storia cambiata dallo sceneggiatore Tarantino fa morire Hitler, Goering, Goebbels e gli altri alti comandi del regime allinterno della suddetta sala cinematografica. Il tutto suggellato da unalleanza fra il colonnello, che consente lesito positivo dellattentato, e i Bastardi sopravvissuti. 

E se non entreremo nel dettaglio dei risvolti deliranti men che meno lo faremo con le centinaia di riferimenti, citazioni, ricalchi cinematografici di cui Tarantino è solito guarnire, lodevolmente, le proprie pellicole.

In questampia cornice, la cui idea di fondo può risultare piuttosto intrigante, non trovano però adeguata statura i dialoghi piuttosto mosci che il regista ci propina. Dalla presentazione iniziale del cattivo colonnello, decisamente troppo lunga, alla serata nella taverna fra bastardi, soldati e ufficiali tedeschi, non escono le solite brillanti, geniali frasi e riflessioni sulle quotidiane stranezze e banalità cui le sceneggiature tarantiniane ci hanno abituati. Le troppe citazioni dagli spaghetti western (Leone in testa, con tanto di Morricone nella colonna sonora) e da parecchi b-movie sembrano piuttosto ridondanti e alla lunga sgradevoli nel formare un minestrone piuttosto sconclusionato.

 

Per quanto riguarda la grottesca riscrittura della storia, che può anche di per sé essere accettata, si pretende però una minima coerenza: va bene, Hitler muore in un cinema, ma come diavolo fanno i nostri eroi a spacciarsi per siciliani in mezzo ai nazisti nel 1944 quando, per stessa ammissione del protagonista, la Sicilia era oramai da lungo tempo stata conquistata dagli angloamericani e, si presume, l’Italia divenuta cobelligerante degli Alleati? Attenzione, non si tratta di chiusura mentale di fronte al nonsense, ma di semplice osservazione. (Anche il nonsense ha bisogno di una struttura, guardare il mitico Top Secret per accorgersene). Brutto buco di sceneggiatura. Maluccio per un film sul quale il regista medita da più di sei anni.

A questo si aggiunga la presentazione di troppi personaggi dalla psicologia sfilacciata o poco approfondita, l’alternanza di momenti comici a momenti di pathos che caratterizza sì tutti i film di Tarantino, ma in questo caso risulta troppo marcata, imbolsendo i primi e ridicolizzando i secondi. E poi diciamocelo: continuando ad auto citarsi Quentin rischia di diventare un po’ troppo ripetitivo: quanti non hanno capito come sarebbe andato a finire l’ennesimo “triangolo messicano” riproposto nella taverna?

Sull’overdose di violenza non c’è proprio nulla da aggiungere rispetto ai film passati, il regista conferma tutte le proprie perversioni sublimandole con l’abbondante perizia artistica di cui è dotato.

Non mancano sprazzi estetici di indubbia grandezza, utili solo però a far riprendere fiato lungo un ritmo poco andante. Bella la scena della strage iniziale, grandiosa quella della strage finale. Gli attori sono quasi perfetti nel loro ruolo e da valutare è la scoperta del grande interprete austriaco Christoph Waltz nella parte del colonnello Hans Landa.

Dunque cos’ha voluto dire il nostro Tarantino? Che gli ebrei possono essere a loro volta tanto crudeli quanto i nazisti? Che il cinema è capace di vendicarsi del male? Che egli stesso, rappresentato da un bizzarro colonnello delle SS che come lui sa parlare più lingue, è astuto, conosce il mondo e la fa sempre franca, può cambiare il corso della storia? Che può permettersi di usare la pellicola come meglio crede dissacrando, ridicolizzando, drammatizzando il dramma degli ebrei e dell’olocausto? Chissà, forse che sì o forse che no.

Per citare un vero genio del cinema «se qualcuno ha capito il senso di questo film, significa che ho sbagliato qualcosa». Peccato che cercare di comprendere il senso di “2001: Odissea nello Spazio” sia un lavoro decisamente più affascinante.

 

(Ruggero Collodi)