«Eroismo da boyscout». Così Adrian Veidt apostrofa l’epilogo della missione “incompiuta” di Rorschach e Nite Owl. Un esito infelice, degno coronamento di un ardore sul viale del tramonto, quando le articolazioni iniziano a indolenzire e i riflessi non sono più quelli di una volta. In Watchman il cinico moderno si scontra col cavalleresco irridendolo, ma in fondo invidiandone l’ideale incorrotto. Chi si aspettava di contemplare sul grande schermo il fumettone equipaggiato dalla triade “eroe, bella in pericolo e malvagio sconfitto” è rimasto davvero deluso. Già, perché distinguere il bene dal male si fa una questione complicata in questo fumetto umano, troppo umano. E parlando di uomini, della confusione interiore e di quel groviglio di bene e male che li contraddistingue diviene davvero difficoltoso capire per chi “tifare”, qual è il buono da appoggiare e il cattivo da cui fuggire.
In un 1985 “alternativo” dove Nixon viene eletto per quattro volte di fila e gli USA escono vincitori dal conflitto in Vietnam, sembra che qualcuno dia la caccia ai supereroi, ormai ridotti a sparuto drappello in pensione, dopo un decreto che ha loro imposto l’obbligo di non attività. Il primo ad essere ucciso è Edward Blake, in arte “Il Comico”. Seguono le tracce dell’assassino tre personaggi altrettanto pittoreschi: il mascherato e psicopatico dal volto buono “Rorschach”, il “gufo notturno – Nite Owl” alias Dan Dreiberg e l’affascinante eroina “Spettro di seta” ovvero Laurie Juspeczyk. Ma la pista intrapresa si rivelerà molto più complicata del previsto. Una squadriglia di supereroi decadenti, di “serie B”, soggetti alle passioni umane e alle meschinità. Abilissimi e vincenti quando si tratta di combattere il crimine da “normale amministrazione”, ma pronti a prenderle di santa ragione quando si scontrano con la perfezione intellettuale di “Ozymandias” (il sopracitato Adrian Veidt) e metafisica del “Dr. Manhattan” (l’omino blu che si vede nei trailer). Da qui la grande domanda: è meglio affidare il mondo alle mani dei fallibili, ma appassionati, esseri umani o in quelle degli infallibili, ma distaccati e freddi, principi ideologici?
È fedele come sempre il bravo Zack Snyder, reduce da “300”, nel riprodurre quasi in tutti i dettagli l’opera ispiratrice. Qualcuno potrebbe pensare che si tratti di un compito facile usare un fumetto a mo’ di storyboard, ma tale non è. Cambiano i tempi, le voci fuori campo, i sottintesi, e soprattutto l’uso delle immagini. Eppure per chi ha avuto la fortuna di leggere l’opera di Alan Moore la visione di Watchmen è davvero piacevole. Lo stesso non può però dirsi per i profani, costretti a sorbirsi due ore e mezza di un film che molto probabilmente reputavano dinamico alla Spiderman. Non si tratta qui di amore per l’intellettualismo fine a se stesso, bensì di lealtà nei confronti di un’opera complessa che molti, tra i quali il rivale, papà dell’Uomo Ragno e di Hulk, Stan Lee, non hanno esitato a definire un capolavoro del fumetto. E il lungometraggio, proprio perché fedele, non poteva esimersi dal raccontare per filo e per segno una struttura che si alimenta in ogni dettaglio di innumerevoli fonti che hanno a che fare con le radici culturali, filosofiche e letterarie europee.
Tanto per cominciare l’opera assume l’aspetto di un contraltare dell’Iliade. Anche qui il protagonista, quasi un dio per l’eccesso di superpoteri di cui dispone, esattamente come Achille, fugge e si rifiuta di combattere per amore. Anch’egli è accusato di provocare una “peste”, il cancro, che si diffonde fra molti dei suoi amici. E anche in questa circostanza si parla di una guerra. L’ultima guerra dell’umanità. Mentre per l’Iliade si trattava della prima. (Da notare che nel fumetto è perfettamente incastonata un’Odissea, anch’essa in chiave moderna). Questo non è che un esempio degli innumerevoli riferimenti letterari cui si può ricondurre l’intera trama del grande racconto. Si potrebbe infatti aggiungere il costante richiamo alla vita di Alessandro Magno tramandataci da Plutarco, a Orazio, fino ai più moderni Melville e William Blake. Per non parlare della magnifica colonna sonora che offre il meglio degli anni in cui è ambientata la vicenda.
Un’ultima osservazione. Lo spirito che percorre tutta la trama è davvero interrogato sui problemi della modernità. Relativismo, determinismo, cinico ateismo, si scontrano con le virtù proprie dell’eroe classico e oramai depresso per l’orrore quotidiano cui assiste nell’inesorabile degenerazione della società. L’unica soluzione pare incarnarsi nei modelli razionalisti della scienza e della morale laica. Il dottor Manhattan è davvero un dio, ma possiede lo stesso distacco dal mondo del dio dei filosofi. Il suo interesse per l’umanità è pari a quello che può avere per le “termiti”. E lo stesso Veidt, “l’uomo più intelligente del mondo” è reso pressoché cieco dal proprio idealismo umanista. Quis custodiet ipsos custodes? “Chi custodirà gli stessi custodi” dalla loro disperazione si chiede Alan Moore citando una celebre satira oraziana. La risposta è sorprendente: il miracolo. Generato da un amore “non previsto”, un semplice rapporto umano porterà alla soluzione dell’intricato ordito venutosi a creare a causa di tutti i mali del mondo.
Questo forse il merito più grande del regista Snyder: l’aver colto, trasposto su celluloide e diffuso un messaggio di rara profondità e bellezza che rischiava di rimanere sepolto fra le pagine del “diario di Rorschach”.
(Ruggero Collodi)