Quando Pomeriggio Cinque riprende dopo la pausa del TG 5 minuti, Barbara D’Urso ricorda innanzitutto che alle 17.58 a Palermo è stato osservato un minuto di silenzio per ricordare la strage di Capaci avvenuta esattamente vent’anni fa. Introduce dunque un vecchio servizio del Tg 5 mandato in onda quella sera, in cui un giovanissimo Salvo Sottile riassumeva l’accaduto mentre scorrevano le immagini delle auto e dell’autostrada distrutti. Il giornalista è ospite in studio, mentre in collegamento da Palermo, dalla piazza dove si trova l’albero di Falcone, ci sono l’inviato del Tg 5 Fabio Nuccio con la scrittrice e giornalista Paola Anello, mentre a Capaci si trova Massimiliano Di Dio con Tina Montinaro, la vedova del caposcorta. Per ricordare l’accaduto viene mandato in onda il servizio di Sottile di quel giorno in cui si affermava che c’erano stati sei morti, in realtà le vittime si rivelarono poi cinque perché l’autista dell’auto di Falcone non era presente poiché il magistrato aveva voluto guidare lui stesso l’auto. Dopo aver ricordato i nomi di Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e gli agenti Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani, Barbara D’Urso si collega con Capaci, proprio sul luogo dell’esplosione e la parola passa alla signora Tina. La donna, sollecitata dalla conduttrice, ricorda come il giorno precedente la strage suo marito avesse chiesto di cambiare turno per esser proprio lui a scortare il magistrato che chiamava affettuosamente “il mio giudice”. Aggiunge poi, per dovere di verità, che tanta solerzia era dovuta anche al fatto che avrebbe potuto fare qualche ora di straordinario, pagato pochissimo, ma con due bimbi piccoli quel denaro avrebbe fatto comodo. Tornando con la mente al 23 maggio 1992 Tina racconta che quella mattina Antonio voleva essere vestito di tutto punto, perciò aveva chiesto consiglio alla moglie e poi aveva indossato un abito grigio-verde. Dopo aver salutato i bambini, di 4 anni e 18 mesi, era uscito per andare al lavoro, e nel pomeriggio aveva telefonato a casa per avvertire che avrebbe ritardato. Quella fu l’ultima volta che lo sentì. Fu un’amica a chiamarla per sapere dove si trovava Antonio perché aveva sentito nei notiziari dell’attentato Falcone. In cerca di informazioni Tina provò a chiamare il 113, ma il giovanissimo agente che le aveva risposto stava piangendo e non era in grado di darle alcuna notizia, sapeva soltanto che era accaduto qualcosa di terribile. A quel punto la donna decise di recarsi in questura per sapere qualcosa di suo marito, ma anche là il clima era di totale confusione e disorientamento.
C’era solo una giovane funzionaria che attingeva anche lei le notizie dai mezzi di informazione, perciò a quel punto Tina venne accompagnata da un ispettore di polizia in ospedale. Caso volle che il poliziotto sbagliasse nosocomio e solo in un secondo tempo raggiunsero la camera mortuaria dove si trovavano i corpi del marito e degli altri uomini della scorta. Non le fu permesso vedere il marito, un collega le disse che aveva proceduto a lui al riconoscimento grazie a un brandello di quel vestito grigio-verde indossato al mattino da Antonio. Tina ebbe la consapevolezza che fosse veramente lui solo quando poté scorgere nella bara una mano con le unghie rosicchiate e l’indice e il medio incrociati, il gesto di scaramanzia che faceva Antonio per tutto il tempo in cui scortava il giudice. Dopo questo suo toccante racconto la signora Montinaro si mostra piuttosto amareggiata perché proprio oggi, vicino alla stele che ricorda la strage, è stato posto ciò che rimane dell’auto sulla quale viaggiava la scorta e, a parte i colleghi e molta gente comune, nessuna autorità si è recata sul posto. Il Presidente del Consiglio si è fermato solo pochi minuti senza prendere visione dei rottami dell’auto e invece per Tina è proprio quella la cosa più importante, perché solo vedendo quelle lamiere accartocciate ci si può rendere conto di ciò che è stato di quegli uomini. E’ molto toccante anche la testimonianza di Salvo Sottile che, allora diciannovenne, si era recato a Capaci sull’autostrada dopo che gli avevano riferito che c’era stata un’esplosione, probabilmente al vicino cementificio. Quando giunse sul posto rimase senza parole perché nessuno si sarebbe mai aspettato una tale distruzione: 300 metri di autostrada completamente spariti: “sembrava Beirut”, è l’unico paragone che ancora oggi Sottile riesce a fare.