«Siamo convinti che Beppino Englaro abbia agito spinto dalla preoccupazione del futuro. Che ne sarà dei nostri figli dopo di noi? Chi si occuperà di loro quando noi non ci saremo più se avranno la “sfortuna” di sopravviverci? Che fine faranno? Tutto questo ci spaventa e ci angoscia moltissimo»: è uno stralcio della lettera indirizzata al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio, ai Presidenti di Camera e Senato, al Ministro Sacconi e al presidente della Regione Puglia da Aldo e Grazia Volpe che esattamente da 17 anni, come la famiglia Englaro, vivono lo stesso calvario con la figlia Lisa, oggi ventiquattrenne, in coma vigile dal 5 maggio 1992. «Ma la nostra scelta – spiegano – è stata diversa da quella dei genitori di Eluana. Noi non abbiamo mai lasciato Lisa in mani estranee. Nostra figlia vive a casa con noi e per nessun motivo al mondo la lasceremo morire senza avere tentato prima tutto il possibile. Una volta approvata la nuova legge sul testamento biologico – si chiedono i genitori di Lisa – le istituzioni si porranno il problema di come aiutare questi pazienti “condannati a vivere” o scaricheranno tutto il peso delle loro decisioni ancora una volta sulle famiglie?». Il dramma di Lisa, una bambina di sette anni vivace e allegra, inizia quando a San Severo (Foggia), dopo una lezione in palestra, entra in coma in seguito ad un’emorragia cerebrale dovuta alla rottura spontanea di una malformazione vascolare congenita. Subito un’autoambulanza porta la bimba a San Giovanni Rotondo (Foggia) nell’ospedale di Padre Pio, la Casa Sollievo della Sofferenza, ma niente da fare, Lisa non riprende coscienza. Da allora comincia per la famiglia una nuova vita, fatta di rinunce e sacrifici, di momenti di speranza alternati ad altri di esasperazione, gestiti sempre con grande forza, equilibrio e dignità. La bambina intanto cresce e diventa donna, alternando periodi di permanenza a casa a soggiorni obbligati, più o meno lunghi, in ospedale e gli anni passano tra consulti medici, viaggi, delicati interventi (sempre a San Giovanni Rotondo) e la faticosa riabilitazione tra l’Italia e l’ Austria, a Innsbruck. «La vicenda di Eluana Englaro ha acceso i riflettori su un mondo che soffre in silenzio e nel totale abbandono da parte delle istituzioni. Come genitore – scrive Aldo – mi auguro che da domani non torni tutto come prima. Facciamo in modo che i chilometri di inchiostro spesi per questo caso lascino una traccia tangibile. E voi, politici, dimostrate che per una volta non si è fatto un uso strumentale di una vicenda privata così delicata e triste…». Quello che si invoca è «attenzione sulle famiglie che, con enormi sacrifici fisici e psichici, hanno deciso di tenere i propri cari in casa. Penso che l’amore dei familiari – si legge nella lettera – giochi un ruolo importantissimo per la sopravvivenza di questi pazienti che altrimenti sarebbero costretti a passare i propri giorni in freddi ambienti ospedalieri». Un passaggio importante della missiva riguarda i costi: «Questi pazienti necessitano di attenzioni 24 ore su 24. L’assistenza ricade sulle spalle delle mamme, costrette a lasciare il lavoro a fronte di nessuna pensione se non avranno versato contributi a sufficienza. Perché non si considera “lavoro” l’assistenza a una persona in coma? Se questi pazienti sono assistiti a domicilio lo stato risparmia tantissimo. È stato calcolato che un paziente a domicilio costa un terzo rispetto a quanto costerebbe se fosse assistito in una struttura ospedaliera o in un istituto». E poi, vi è il problema della quasi assenza in Italia di Centri di riabilitazione per pazienti comatosi. In questi ambiti – spiega Volpe – «si decide spesso di dare la precedenza a quei pazienti che hanno più possibilità di recupero rispetto ai casi gravi. Ma se non si sottopone a riabilitazione, il paziente non migliora e la sua condizione inevitabilmente peggiora». A questo si aggiunge «l’assenza di centri diurni semiresidenziali in grado di poter accogliere i nostri figli per qualche ora al giorno in modo da poter alleggerire la nostra fatica quotidiana». Aldo e Grazia Volpe scrivono ancora: «Sono sicuro di interpretare il pensiero di molti genitori che, o per pudore o per stanchezza, non fanno sentire la propria voce. Chiedo che qualcosa cambi e che, al di là di tante belle parole, la classe politica dimostri concretezza e sensibilità.