Quello che segue è un racconto ispirato alla vicenda del terremoto in Abruzzo, arrivato in redazione il giorno di Pasqua.

Il giornalista e il cameraman si aggiravano per le strade, tra mucchi di macerie, un po’ timorosi, sbirciando verso la sommità dei palazzi ancora miracolosamente in piedi.

Girato l’angolo, si trovarono di fronte un enorme cumulo di mattoni e calcinacci da cui spuntava una parete bianca quasi intatta. Appesa ad un chiodo c’era una croce scura, perfettamente conservata, che attirò la loro attenzione e suscitò il loro stupore: come mai quella croce non era crollata con tutta la parete?



«Dai, Giulio, riprendila!». «Va bene, ma poi andiamo, prima che arrivi un’altra scossa». Fatta la ripresa, i due si allontanarono in fretta. Dopo una serie di giri spuntarono in una piazzetta dove, in cima ad una montagnola di macerie, svettava una croce in ferro battuto.

«Ma non è possibile!», disse Giulio. «La vedi dritta come la vedo io? Allora è possibile!», sentenziò Claudio, il giornalista. «Due croci in piedi non è un caso…». «Dici bene: non è un caso. Piuttosto riprendi pure questa. Sono un segno evidente. Dobbiamo mostrarle perché tutti vedano che Cristo è qui, anche Lui tra le macerie».



Claudio si avvicinò alla croce, mentre Giulio la riprendeva, e sottovoce iniziò a recitare una preghiera a Gesù, che sua mamma gli aveva insegnato quando era bambino. Era passato tanto tempo da allora e alcune parole gli sfuggivano. Si sentiva il cuore gonfio di pianto. Con la voce rotta aggiunse:«Signore, perdonaci se abbiamo dubitato di te; se ci siamo chiesti dove tu fossi quando è scoppiato l’inferno, come tu abbia potuto permettere che accadesse una tragedia così immane…».

«Non piangere, Claudio, non piangere…», disse una voce dolcissima e ferma al contempo. Claudio si girò pensando che fosse stato Giulio a parlare, ma il collega era da tutt’altra parte. Guardò fisso la croce, tra lo stupito e l’incredulo.



«Hai visto bene: sono anch’io qui, tra le macerie, crocefisso con i crocefissi, dolente con i dolenti, bambino con i bambini, vecchio con i vecchi. Il mio cuore è lacerato come il vostro, ma ce la faremo: risorgeremo».

«Mio Signore e mio Dio…Ma come farai con tutti gli sfollati, con le case distrutte…Sai meglio di me quanto sono angosciati e disperati…».

«Ma non hai visto quanta gente ho mobilitato? Quante persone sono venute da ogni parte per dare una mano? Credimi: certe cose non si fanno appena per dovere o per senso civico o per generosità istintiva. Certe cose si fanno per amore mio, anche se non tutti ne sono pienamente coscienti. E con me possono fare tutto!

Senza di me non possono fare niente! Ricorda e riferisci: che aprano il cuore alla speranza, che tornino a confidare in me. E aggiungi che io li amo, li amo tutti in modo sconfinato, altrimenti non piangerei con loro quando piangono, non riderei con loro quando ridono, non darei la vita per salvarli. Ricorda loro che io sono dove mi cercano: sono nel sole e nelle stelle, sono nel verde dei prati, nell’azzurro del mare, nell’argento delle montagne; sono nel sorriso dei bimbi, nella baldanza dei giovani, nella sapienza degli adulti, nella saggezza dei vecchi; sono nell’amore degli sposi, nell’amore dei figli, nell’amore degli amici.

Soprattutto ricorda loro che li aiuto a portare la croce, perché il peso sia più leggero. Raccomanda loro che si amino gli uni gli altri, che lascino da parte rancori e desideri di rivalsa: chi mi segue ama e basta; chi ama è gioioso e sereno; chi è gioioso e sereno ama ancora di più».

«Claudio, che fai lì imbambolato? Dobbiamo andare prima che ci crolli addosso qualche palazzo». «Sai, Giulio? Mi è successa una cosa incredibile, ma bellissima», disse Claudio tra il trasognato e il commosso. «Deve essere vero perché hai gli occhi stranamente luminosi. Ma ora andiamo. Poi mi racconti tutto».

(Enzo Castellaneta – Messina)