È giallo su una foto pubblicata domenica 10 ottobre su Facebook: nell’immagine, che sembrava essere stata scattata all’obitorio, il corpo senza vita di Sarah Scazzi. Non è noto quando e come la foto sia stata scattata e chi si nasconda dietro al profilo ‘Sarino Scazzi’, usato per pubblicare l’immagine shock, poi rimossa. E intanto sempre su Facebook sono stati chiusi diversi gruppi che inneggiavano alla violenza contro l’assassino di Sarah o che lo omaggiavano come un eroe.
E’ il giorno del funerale di Sarah Scazzi, sabato 9 ottobre. Verrà celebrato alle ore 15.30 in uno stadio gremito da migliaia di persone. Orrore su orrore, arriva in mattinata la notizia che su Facebook sarebbe apparsa una foto di Sarah sul tavolo dell’obitorio dell’ospedale Santissima Annunziata di Taranto.
E’ lì che il corpo di Sarah è stato trasportato dopo il ritrovamento per l’autopsia. E’ la foto di una ragazzina bionda stesa sul classico lettino di ferro da obitorio ed è talmente veritiera che i carabinieri riescono a farla rimuovere dal sito nel giro di un’ora. Chi l’ha messa? Chi ha potuto avere accesso all’obitorio e scattare una simile foto? Un parente di Sarah o un addetto al personale medico? E quale lo scopo, rivenderla in stile paparazzi per guadagnarci soldi?
Sembra ovvio che nessun giornale avrebbe mai pubblicato tale scatto, ma il mercato nero voyeuristico è sempre fiorente. Il profilo Facebook dove è stata pubblicata appartiene a un certo “Sarino Scazzi”, pessimo scherzo di cattivo gusto anche questo del nome. Nessuna indagine ufficiale viene avviata nei confronti del proprietario della pagina FB.
E’ il nuovo “voyeurismo dell’orrore”, come lo definisce la sociologa Chiara Saraceno in una dichiarazione all’agenzia ADN Kronos, un voyeurismo che Internet rende disponibile a chiunque: "E’ solo la punta dell’iceberg” dice. “Il voyeurismo dell’orrore ormai è abbastanza costante. Non solo c’è una spettacolarizzazione del dolore, in cui ci si compiace del dramma altrui, ma è attivo anche un fenomeno di protagonismo vicario. Ci si sente protagonisti solo perché si è lì, perché si va al funerale o si danno dichiarazioni più o meno a vanvera Questo comportamento è sollecitato dai media, sia quando si tratta di drammi veri sia quando i drammi sono inventati, come in alcune trasmissioni televisive. Il senso della privacy, il limite tra ciò che è pubblico e ciò che è privato, si è perso”.
– Come quasi sempre in casi analoghi a questo, la rete si mobilita. Sono i giorni immediatamente successivi al 26 agosto, quello della scomparsa di Sarah. Il primo gruppo ad apparire su Facebook si intitola “E’ scomparsa una ragazza avetranese, Sara Scazzi”. Il 30 agosto il gruppo ha già 1300 iscritti. Arriverà pochissimo dopo il “Gruppo per cercare Sarah Scazzi”, aperto da Valentina, la cugina di Sarah (oltre 44mila iscritti).
Il web, in particolare la pagina FB di Sarah, sono uno dei primi punti di indagine. Fa la sua comparsa un trentenne che confessa di aver chattato spesso con Sarah, si indaga sui suoi messaggi e si scopre che aveva spesso espresso il desiderio di scappare da Avetrana. C’è anche una pagina FB tedesca che sembra far riferimento a lei e alla cugina. E’ il lato oscuro di Sarah, si pensa: i ritmi noiosi della vita in provincia, un rapporto difficile con la madre e un fratello che vive a Milano e che lei adorava. Uno che a fuggire da Avetrana ce l’aveva fatta veramente.
Sarah aveva ben tre profili Facebook: uno lo gestiva utilizzando lo pseudonimo Sarah Buffy, dal nome della ragazza «ammazza vampiri» di una serie televisiva; per navigare usava il computer della biblioteca comunale di Avetrana. Il pc, controllata dalla polizia postale, ha mostrato che quell’account era stato aperto solo tre giorni prima del 26 agosto. Di fatto, Sarah non aveva proprio un computer in casa, la madre non voleva.
A gestire le pagine erano alcune sue amiche che mettevano le foto e rispondevano ai messaggi. E anche questa è una cosa misteriosa. I carabinieri poi sono andati a leggere ogni pagina dei diari della ragazza degli ultimi tre anni per trovare qualunque appiglio che potesse dar credito alla pista della sparizione volontaria. Si scoprirà troppo tardi che era ben altro il lato oscuro su cui indagare.
– Adesso che il caso è –apparentemente – risolto, nascono invece i gruppi pro e contro l’assassino. Nella follia che sembra animare a volte il Web, è apparso per poche ore anche il gruppo “Uccidiamo Sarah Scazzi… Ops!Già fatto?”. La polizia postale ha fatto rimuovere anche i gruppi “Michele Misseri è un eroe” e “Fans di Michele Messeri”.
I gruppi chiedevano giustizia per l’uomo invitando a non “difendere la mocciosa perché Misseri ha fatto la cosa giusta”. Ben quattrocento iscritti infine al gruppo “Se Sarah fosse stata più disponibile con lo zio, forse sarebbe ancora viva!”. Anche questo è stato cancellato non appena segnalato alle autorità. Sono ancora online i gruppi contro Misseri.
Tra gli altri, su facebook si trovano: “Michele Misseri” con 147 iscritti e slogan del tipo “facciamo vedere quanto lo odiamo”; “Michele Misseri schifoso”, a quota 4.872 sostenitori; “Ergastolo per Michele Misseri”, con 2.796 iscritti, e “Castrazione chimica e pena di morte per Michele Misseri” con 249 fan. Il tema dei messaggi che vi appaiono è più o meno lo stesso: invocazione della pena di morte, maledizioni e insulti di ogni sorta. Facebook si è mobilitata anche contro la cosiddetta “tv dell’orrore”, in particolare il programma Chi l’ha visto?, colpevole di aver dato l’annuncio in diretta alla mamma di Scazzi del ritrovamento del cadavere della figlia.
– "Pena di morte per lo zio animale": è la frase che si vede nello striscione che alcuni cittadini di Avetrana avevano esposto all’indomani della confessione di Misseri. Una foto che ha fatto il giro d’Italia. Facebook è un buon termometro della società, vi si ritrova più o meno tutto quanto vi accade. Recentemente, Facebook è stato teatro di altri avvenimenti che hanno scosso la società italiana e che sono stati ripresi da dozzine di gruppi pro e contro. Il primo è quello di Eluana Englaro e della sua morte per eutanasia.
Un altro è quello relativo alle vicende della morte del piccolo Tommaso Onofri, il bambino ucciso dai suoi rapitori. E se è vero che esiste una analogia tra il gruppo Facebook “castrazione chimica per Vittorio Messeri” e l’articolo del quotidiano La Padania che auspica, per gli stupratori, la castrazione chimica e il carcere duro per gli stupratori, è anche vero che la virtualità del mezzo però consente reazioni ben più evidenti o esagerate di quelle che si possono osservare nella realtà o anche alla televisione.
Difficilmente in questi giorni nelle dichiarazioni raccolte dalle tv sul caso Scazzi si sono sentite posizioni così estreme come quelle dello striscione. Facebook è dunque specchio della realtà, sì, ma soprattutto specchio di una realtà amplificata e fittizia, dove viene detto tutto ciò che normalmente non si dice.
Come ha scritto il giornalista americano Jona Lynch, di fatto Facebook è una grande fuga dalla realtà: “Se mi preoccupa una frase come stasera ci vediamo su Facebook, o il fatto che si chatti nella propria cameretta più volentieri che uscire a prendere una birra, è perché si viene a cambiare radicalmente il significato dello stare insieme. Questo tipo di rapporto per procura, solitario, è allo stare insieme umano ciò che la pornografia è al rapporto coniugale.
"Mettere su delle vetrine per esporre se stessi. Da sempre l’uomo, e in particolare l’adolescente, è tentato di portare delle maschere. Uno vuole sottolineare certi aspetti di sé e nasconderne altri. Ciò viene inevitabilmente smascherato proprio con gli amici, perché non è possibile nascondere a lungo la verità di sé dalle persone vicine. E l’essere smascherato davanti a un altro è l’essenza stessa del rapporto umano maturo. Tutto il resto è pubbliche relazioni”.