La giustizia italiana è al collasso. Lo ha detto il presidente dell’Associazione nazionale magistrati Luca Palamara
Il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Luca Palamara, non ha mezzi termini per denunciare lo stato di degrado e inefficienza in cui versa la giustizia in Italia, ritenuta « al collasso». A partire, anzitutto, dal «cattivo funzionamento del servizio» e dal «mancato rispetto della ragionevole durata del processo» che «assumono carattere oggettivamente prioritario e necessitano di interventi urgenti». La priorità, quindi, è quella di «voltare pagina, lasciando alle spalle ciò che in questi anni non ha funzionato nella macchina giudiziaria, nei rapporti tra politica e magistratura, ma anche al nostro interno, dando centralità ai temi dell’autoriforma, della questione morale e dell’organizzazione». Riferendosi al rapporto Doing Business 2011, della Banca Mondiale, Palamara ricorda che l’Italia «figura tra i peggiori quanto a durata delle procedure». Basti pensare che sono necessari «1210 giorni per recuperare un credito» e che secondo i calcoli di Confartigianato «i ritardi costano alle imprese 2,3 miliardi di euro: una tassa occulta di circa 371 euro per azienda che ricade su imprenditori, fornitori, clienti, consumatori».
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Altro male che affligge il nostro Paese, tutt’altro che debellato, è la corruzione: «In Italia – dice il capo dell’Anm – questo fenomeno è ancora largamente diffuso; nel 2009 le tangenti nel nostro Paese hanno inciso sulle tasche degli italiani per circa 60 miliardi di euro». Palamara si sbilancia anche sul rapporto tra politica e magistrature, e ricorda che urge « fissare regole rigorose finalizzate a evitare commistioni improprie tra la funzione giudiziaria e l’impegno politico», impendendo, ad esempio, «la possibilità di tornare a fare il magistrato dopo l’esperienza in politica». «È inaccettabile – continua – che trapeli l’immagine di una magistratura contigua a gruppi lobbistici e impegnata in impropri interventi volti a influire sull’assegnazione di affari e di incarichi prestigiosi. I magistrati si legittimano esclusivamente nello svolgimento dell’attività giurisdizionale esercitata con indipendenza e imparzialità e senza che si insinui il dubbio di illeciti condizionamenti esterni».