Ancora si indaga sulla morte di Roberto Straccia, lo studente di Pescara di 24 anni scomparso il 14 dicembre scorso mentre faceva jogging e ritrovato senza vita, il 7 gennaio, nelle acque a nord di Bari. Le piste aperte sono ancora tante e si cerca di chiarire la causa della morte del giovane: potrebbe essere stato un malore durante l’attività fisica che lo ha fatto cadere in mare, oppure un suicidio, proprio in questo modo perché Roberto non sapeva nuotare. Resta comunque ancora aperta la pista dell’omicidio, una spinta volontaria nelle acque, ma da parte di chi, e perché? Le indagini continuano nel tentativo di fare più luce su tutti i dettagli, mentre la famiglia del giovane, composta dalla madre Rita, il padre Mario e la sorella Lorena, che tra pochi giorni tornerà in Puglia per l’autopsia sul corpo del ragazzo che dovrebbe avvenire mercoledì, respinge nella maniera più assoluta l’ipotesi del suicidio. Intanto da Bari il procuratore aggiunto Pasquale Drago ed il pm incaricato Baldo Pisani hanno aperto un fascicolo per istigazione al suicidio, chiarendo che si tratta di una motivazione “tecnica” per consentire l’analisi del dna e la successiva autopsia. Una volta effettuata la prova dna e dopo aver svolto l’esame autoptico che chiarirà le reali cause della morte, probabilmente l’inchiesta passerà nuovamente nelle mani del pm Giuseppe Bellelli della Procura di Pescara che precedentemente aveva aperto un fascicolo per sequestro di persona. La famiglia chiede adesso a gran voce la verità, e nelle ultime ore Repubblica ha reso noto che la sera prima della scomparsa Roberto Straccia ha mandato un sms ad una sua amica, Diletta Basili, la quale ha affermato: «Mi comunicò che in casa stava discutendo con un inquilino. Mi scrisse: non ti posso spiegare per telefono». Adesso gli inquirenti si muovono anche in questa direzione, ed è sospetto il fatto che tutti i messaggi sul cellulare di Roberto siano stati cancellati. Ad alimentare invece la teoria del suicidio, in cui nessuno nella comunità di Moresco crede, è il ritrovamento di due scatole di antidolorifici vuote nella stanza del giovane e un episodio avvenuto quando Roberto aveva 17 anni, un malore accusato dopo aver bevuto una bibita che lo costrinse ad un ricovero in ospedale. Anche in quel caso i carabinieri ipotizzarono inizialmente un tentativo di suicidio, ma amici e parenti negarono nel modo più assoluto, tanto che il padre denunciò la multinazionale produttrice della bibita. Questa denuncia fu poi ritirata sempre dal padre, e anche questo fatto insospettì gli inquirenti.