Una storia infinita quella che riguarda il direttore de Il Giornale, condannato a 14 mesi di carcere per diffamazione relativamente a un articolo pubblicato quando era direttore di Libero e di cui era autore il deputato Pdl Renato Farina, rimasto anonimo per anni. Come si sa il caso, la condanna, ha suscitato polemica e scalpore tanto che si è cercato di arrivare in extremis a un accordo politico per modificare l’articolo della legge – risalente ai tempi del fascismo – che prevede il carcere in caso di diffamazione. Il sostegno a Sallusti era venuto da tutti i colleghi della stampa e anche dal Capo dello Stato. L’ultima svolta di questa complicata faccenda è quella che ha visto accolta la richiesta fatta dal procuratore della Repubblica Bruti Liberati di convertire il carcere previsto al giornalista in arresti domiciliari. Arresti in cui gli sarebbe però proibito svolgere il proprio lavoro, tranne in caso di permessi speciali per recarsi al giornale. Ma Sallusti, come peraltro ha sempre chiesto fin dal primo momento della condanna, rifiuta questa possibilità. Non voglio gli arresti domiciliari, ha detto: datemi il carcere. La sua infatti è una battaglia contro quello che ritiene un sorpruso della magistratura contro la libertà di opinione e di stampa. La richiesta dei domiciliari per Sallusti era stata approvata in base alla legge cosiddetta svuota carceri. Ma il direttore ha replicato che gli vogliono dare i domiciliari perché sanno di avere la coscienza sporca: “Non voglio privilegi, per favore mi mandi i carabinieri e mi faccia mandare in carcere. Altrimenti commette un illecito pure lui” riferendosi al procuratore. Ha poi detto che in caso di domiciliari si farà condannare per reato di evasione in quanto uscirà di casa per recarsi al lavoro sin dal primo giorno. Rincara poi le sue accuse alla magistratura: impossibile si comportino in questo modo senza mai pagare. Al momento comunque il quotidiano da lui diretto è stato dato in direzione all’attuale vice direttore Nicola Porro di cui Sallusti ha detto di considerarlo degno di fiducia.
E conclude il suo attacco contro la condanna: “Sul dispositivo della sentenza c’è scritto che io mi sono rifiutato di pubblicare la rettifica. Il rifiuto presuppone una domanda. Nessuno mi ha domandato una rettifica. Libero non aveva l’Ansa. Non avevo modo tecnicamente di correggere la notizia. Sulla sentenza c’è scritta una cosa falsa”.