Non è fiction. Esattamente 45 anni dopo l’uccisione di Martin Luther King, avvenuta il 4 aprile 1968 a Memphis, esce dagli archivi della polizia del Tennessee un breve filmato in bianco e nero: poco più di due minuti in cui si vede il suo assassinio James Earl Ray in volo durante l’estradizione dalla Gran Bretagna, dove era fuggito e poi arrestato, e al suo arrivo in carcere. Un documento inedito, girato dalla polizia statunitense, rimasto sepolto tra la documentazione d’archivio e dimenticato. Ritrovato, non è stato immediatamente divulgato per una ragione tecnica: bisognava trovare i mezzi tecnologici adatti per visionarlo in quanto era incompatibile con gli strumenti di ripresa e di proiezione oggi in uso. Poi la sorpresa: una documentazione eccezionale, la cui esistenza pone però alcuni interrogativi: perché è stato girato? Perché la polizia ha voluto riprendere la lettura a James Earl Ray dei suoi diritti – avvenuta sull’aereo subito dopo la presa in consegna del prigioniero da parte degli agenti Usa – e la spoliazione e successiva visita medica all’arrivo in carcere? Abbiamo rivolto queste domande a Gianni Riotta, editorialista de La Stampa, giornalista “pendolare” tra Italia e Usa, che ben conosce il sistema giudiziario statunitense e la particolare sensibilità dell’opinione pubblica d’Oltreoceano.
Perché nel luglio del 1968 fu girato quel filmato? E che significato assume oggi, 45 anni dopo, la sua scoperta?
Andare indietro nel tempo, calarsi nel clima politico e sociale di tanti anni fa, è sempre difficile. Proviamo però ad inquadrare la situazione. Siamo nel 1968, sono passati solo cinque anni dall’omicidio, a Dallas, del presidente John F. Kennedy e dall’uccisione, da parte di Jack Ruby, del suo presunto assassino Lee Harvey Oswald proprio mentre era in manette e circondato da poliziotti, davanti alla centrale di polizia dalla quale doveva essere trasferito in carcere. Un episodio che aveva sollevato sospetti e accuse sulle forze di polizia.
Quindi siamo di fronte a un’azione cautelativa da parte dei poliziotti? Una volontà di documentare il loro corretto operato?
Si può dire che gli inquirenti erano terrorizzati delle conseguenze che potevano scaturire da un assassinio di enorme rilevanza politica e sociale come quello del leader pacifista dei negri americani. Ricordiamoci, era il 1968, con i ghetti neri americani che, dopo l’assassinio di King, letteralmente bruciavano. La situazione era delicatissima, la preoccupazione di poliziotti, giudici, politici era che l’eventuale morte di Ray o altri episodi legati al caso potessero alimentare, all’interno della comunità afroamericana, l’idea del complotto e, quindi, ulteriori e più gravi incidenti oltre a quelli in corso.
L’idea del complotto comunque venne a galla: l’opinione pubblica si divise subito tra chi propendeva a considerare James Earl Ray un pazzo isolato e chi invece vedeva la presenza di un mandante…
Tutti gli assassinii politici si portano dietro un alone di complotto, generano un’infinità di supposizioni inevitabili: l’assassinio ha agito da solo, non ha agito da solo, era protetto dai servizi segreti nazionali, era al soldo di agenzie internazionali, chi ne trae vantaggio… È così sempre, basti pensare al ferimento di Giovanni Paolo II, all’assassinio di Aldo Moro, a quello di Olof Palme… tutti si portano dietro un alone di mistero e non fa eccezione neanche l’omicidio di Martin Luther King.
Cosa sarebbe successo se Martin Luther King non fosse stato ucciso?
Erano anni difficili, estremamente violenti. Gli anni del Vietnam, della contestazione, dell’apartheid… Con la sua strategia della non violenza Martin Luther King aveva emancipato gli afroamericani, e l’assegnazione del premio Nobel per la Pace gli aveva dato ulteriore prestigio. Ma il leader pacifista, in quel 1968, era anche frustato perché non vedeva validi interlocutori a Washington, si sentiva abbandonato e quindi la sua posizione politica si stava radicalizzando. D’altra parte però, la sua azione aveva avuto influenza sui leader più radicali del movimento nero, che si stavano avvicinando alle sue posizioni. Questa convergenza stava creando una nuova leadership afroamericana. L’assassinio di King interruppe drammaticamente questo percorso. Aveva solo 39 anni: la sua morte precoce, come quella – anni dopo – di Rabin in Israele, ha privato gli Stati Uniti di un interlocutore che sarebbe stato estremamente utile all’America nei decenni successivi.