L’ennesimo caso di pubblicazione su organi di stampa del contenuto di intercettazioni telefoniche “eccellenti” ripropone all’attenzione di tutti un tema che in condizioni normali sarebbe riservato ai tecnici e ai giuristi. Le polemiche che sono puntualmente seguite dimostrano però che mentre il problema è reale, la soluzione è ancora lontana da venire. Vediamo allora, in sintesi, quali sono i punti di frizione e le possibili vie di uscita.
Certamente, la magistratura fa un ricorso abnorme alle intercettazioni telefoniche, spesso anche per ragioni infondate se non addirittura strumentali; ne seguono spese enormi violazioni della riservatezza delle persone, disponibilità di fatto incontrollata dei contenuti di conversazioni riservate.
Questi comportamenti generano come inevitabile ricaduta gli abusi dei media sempre a caccia di scoop e solitamente poco attenti ai temi della riservatezza; vengono così pubblicate le telefonate più scottanti o più politicamente sensibili, anticipando, di fatto, valutazioni su singoli elementi di prova ancora tutti da verificare e da leggere nella giusta collocazione. In molti casi poi la pubblicazione di certe conversazioni rappresenta palesemente uno strumento di lotta politica in mano a chi è privo di investitura popolare (e di scrupoli).
L’esigenza di impedire o quanto meno limitare al massimo la possibilità di abusare di una fonte di prova che resta indispensabile esige quindi una risposta pronta.
Il compito è arduo, perché l’attuale disciplina delle intercettazioni telefoniche “sulla carta” è già assai severa, tanto che molte legislazioni nazionali europee non reggono il confronto. Di conseguenza, inasprimenti e limitazioni ulteriori rischiano di spuntare un’efficace e insostituibile arma di contrasto anche alla criminalità, sia organizzata che comune, in palese contraddizione con l’altrettanto urgente domanda di sicurezza e legalità che viene dal Paese. Per esempio, limitare nella durata le operazioni tecniche impedendone la proroga è una soluzione sbagliata, che non tiene conto della natura tendenzialmente permanente di molti fenomeni criminali come il traffico di stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione, tutte le forme di criminalità organizzata, le bande di rapinatori, la pedofilia e molti altri.
Nello stesso tempo, i fatti dimostrano che non è più possibile affidare esclusivamente la tutela della riservatezza alla professionalità e alla serietà degli operatori, dalla magistratura alle forze di polizia, dagli avvocati ai giornalisti e che pertanto una riforma che ponga limiti e divieti, certi e non aggirabili, non può più essere ritardata.
A monte, nel momento genetico delle intercettazioni telefoniche, la valutazione della fondatezza della notizia di reato e dei gravi indizi di colpevolezza che legittimano alla base il ricorso allo strumento investigativo deve essere resa più rigorosa e accompagnata da sanzioni di inutilizzabilità per tutte le captazioni chieste e autorizzate in modo pretestuoso. Contemporaneamente, nuove norme devono rendere più tracciabili le operazioni tecniche, più tutelabile in concreto il segreto e infine più identificabili gli autori delle violazioni.
Ma il vero punto dolente si trova a valle, nel momento in cui le intercettazioni vengono divulgate e utilizzate per scopi extra processuali.
L’esperienza di questi ultimi anni insegna che il vero snodo si colloca nell’individuazione del punto esatto in cui far cessare il segreto istruttorio e quindi il divieto assoluto di pubblicazione delle conversazioni intercettate, nonché nella severità delle sanzioni previste per la violazione del segreto.
Il punto di equilibrio tra segreto istruttorio e riservatezza delle persone, da un lato, e diritto di cronaca e di informazione, dall’altro, sembra potersi individuare nella rilevanza penale delle conversazioni intercettate.
È già stato scritto, anche su queste pagine, che il segreto istruttorio dovrebbe essere previsto e assicurato al massimo grado fino alla cosiddetta “udienza stralcio” prevista dall’art. 268 c.p.p., ossia quel momento nel processo in cui tutte le parti in contraddittorio tra loro e davanti al Giudice indicano quali conversazioni ritengano rilevanti rispettivamente per l’accusa e per la difesa; al termine di tale udienza, un provvedimento del Giudice stabilisce quali conversazioni sono utili al processo e quali invece sono superflue o acquisite in modo illegittimo, disponendone la distruzione.
Una volta operato il vaglio di utilizzabilità e rilevanza a fini di prova di una conversazione legittimamente acquista – e solo allora – non si vedono ragioni per determinare ulteriori compressioni del diritto di cronaca e di corretta informazione, consentendo la pubblicazione delle sole conversazioni valutate dal giudice come rilevanti. Al contrario, fino a quel momento nessuna conversazione dovrebbe essere pubblicata in nessuna forma, nemmeno se utilizzata in provvedimenti giurisdizionali, e la relativa violazione dovrebbe essere colpita da pesanti sanzioni anche economiche, per non finire nel grande calderone dei cosiddetti reati “bagatellari”.
(Saverio Mancini)