Un eventuale governo Draghi sarà un esecutivo tecnico nel senso classico del termine? Oppure sarà un governo ibrido, in parte tecnico e in parte politico? Sono domande che in questi giorni di consultazioni in molti si stanno ponendo. Ma c’è anche un secondo livello di interrogativi: agli occhi dell’Europa avrà compiti simili a quelli assunti nel 2011 da Mario Monti? E come si inserisce l’opzione Draghi nelle dinamiche attuali dell’Unione? Lo abbiamo chiesto a Lorenzo Pace, professore di diritto dell’Unione europea presso l’Università del Molise.
Nel 2011 Mario Monti e oggi Mario Draghi: siamo nella stessa situazione o ci sono delle differenze?
La situazione di Mario Monti e quella di Mario Draghi è simile su un punto: la presenza di una rilevante crisi economico-finanziaria con gravi ripercussioni sociali. Nel caso di Monti era responsabile della crisi la cattiva politica economica di alcuni Stati membri, che fossero Grecia, Irlanda, Portogallo o Spagna. Quella attuale è una crisi derivante da una pandemia e che rende applicabile il principio di solidarietà dell’articolo 122 dei Trattati. Gli Stati che hanno maggiori possibilità economiche aiutano gli Stati che hanno subìto maggiori conseguenze negative della crisi economico-finanziaria causata dalla pandemia. Ma c’è anche un altro profilo da tenere in considerazione.
Quale?
Il compito di Draghi in questo momento, rispetto all’esperienza di Monti, non è quella di dover tagliare costi al fine di riportare il bilancio italiano in equilibrio e garantire nuovamente la fiducia dei mercati. Il ruolo che Draghi è chiamato a svolgere è quello di definire in Italia i progetti e la struttura di esecuzione e controllo per la spesa di 209 miliardi del Recovery fund. Il non riuscire a spendere efficacemente questi finanziamenti, offerti dall’Unione al fine di realizzare riforme strutturali, determinerebbe un ulteriore peggioramento della situazione economica italiana, il cui Pil dal 2008 è in costante discesa, con il conseguente impoverimento sociale in Italia. Un ulteriore peggioramento della situazione economica italiana avrebbe conseguenze sociali e politiche pericolose soprattutto in considerazione della profonda differenza di sviluppo economico e di coesione sociale tra il nostro Nord e il Sud con la riemersione dopo 150 anni della “questione meridionale”.
Monti era considerato un tecnico tout court, a Draghi invece, specie dopo gli 8 anni passati alla guida della Bce, viene riconosciuta una capacità non solo tecnica, ma anche politica. E’ d’accordo?
Non del tutto. Diciamo che il ricordo di Monti e del suo Governo, nonostante abbia salvato l’Italia in quel momento storico, ha lasciato l’amaro in bocca a molti perché la politica che il suo Governo doveva realizzare era, come detto, di “lacrime e sangue”. Il Governo doveva riportare in equilibrio il bilancio dello Stato in una situazione di crisi finanziaria della dimensione di quella del crollo di Wall Street del 1929. Forse per questo le capacità politiche e diplomatiche di Monti sono ora poco ricordate.
Draghi però con il suo “Whatever it takes” ha saputo andare oltre le politiche di austerità, non crede?
Non bisogna dimenticare che se Draghi è riuscito nel “Whatever it takes” questo è anche conseguente della capacità di Monti di ottenere dalla Germania una disponibilità sull’intervento della Bce in specifiche situazioni di mercato. Fu allora durante uno storico confronto nel giugno 2012 nel corso del quale Monti pose il veto su un provvedimento necessario al Governo tedesco al fine di ottenere un’apertura di posizione da parte della Germania. Allora Angela Merkel disse: “Mario, this is not helpful”, e Monti risponse: “I know”. Così Monti portò a casa la “vittoria” che poi venne spesa con grande abilità da Draghi per l’emanazione del programma Omt da parte della Bce, quello che è conosciuto appunto come “Whatever it takes”. In questo contesto Draghi riuscì a superare l’opposizione della Banca centrale tedesca, unica Banca centrale che votò contro tale provvedimento. Ma le capacità di Monti non sono limitate a questo.
In che senso?
Bisogna ricordare che durante il governo Monti e la crisi dell’eurozona l’Italia, a fronte della debolezza della presidenza francese, era diventata la capofila degli Stati che negoziavano la soluzione della crisi con la Germania. Questa potrebbe essere una situazione che si potrebbe riproporre ora con Draghi, essendo l’Italia a capo del G-20. Questo permetterebbe all’Italia di sfruttare la sua situazione per far avanzare posizioni utili per il futuro del nostro paese.
L’incarico affidato a Draghi è l’ennesimo segnale della crisi della politica?
Il fatto che nuovamente un tecnico sia stato incaricato di formare un governo dopo dieci anni dall’esperienza di Monti non è una conseguenza della crisi della politica o della classe politica. Il problema è ancora una volta il riproporsi della crisi istituzionale italiana e dell’impossibilità dell’attuale quadro costituzionale italiano di garantire governi di legislatura, ma anche di una legge elettorale che probabilmente non aiuta a sceglie i migliori. In questo senso si dimostra sotto alcuni aspetti ancora rilevante il messaggio del presidente Cossiga al Parlamento nel 1991 sulle riforme istituzionali. Egli sottolineava, come la storia ha poi dimostrato, la situazione di instabilità governativa che l’Italia avrebbe subìto in conseguenza del crollo del Muro di Berlino e il “collasso” dell’Unione Sovietica.
Il Conte-2 era stato salutato positivamente dalle cancellerie europee. Oggi le stesse cancellerie potrebbero aver avuto un peso nella scelta di Draghi?
Il Conte-2 era stato salutato positivamente dalle cancellerie in quanto governo europeista e che si allontanava dalle posizioni euroscettiche del Conte-1. Il Conte-1, come ho ricordato anche sul Sussidiario, portò a un radicale conflitto tra Commissione e Governo italiano nella definizione della Legge di bilancio per il 2019. In quel caso il presidente Conte dimostrò eccezionali capacità di negoziazione con la Commissione Juncker, salvando la situazione italiana. Tornando alla domanda, il motivo della valutazione positiva delle cancellerie nel caso del Conte- 2 era conseguenza della posizione europeista e non più euroscettica di quel Governo.
E oggi con Draghi?
Il favore con cui si è salutato a livello europeo e internazionale il possibile ruolo di Draghi come Presidente del Consiglio è collegato ad altro. E’ cioè collegato anche al fatto di avere una persona capace per definire un’efficiente spesa delle risorse del Recovery fund messe a disposizione, secondo il principio di solidarietà, dall’Europa e dai suoi Stati membri al fine di far ripartire la crescita economica italiana, ormai, come ricordato prima, in costante declino dal 2008.
Come si inserisce questa scelta di Draghi nelle dinamiche attuali dell’Unione?
Si inserisce in un momento drammatico per il futuro dell’Unione.
Perché?
Per differenti motivi si è creata ora una crisi economico-finanziaria a distanza di appena dieci anni da quella dell’eurozona. Molti Stati membri sono, dal punto di vista economico e sociale, in una situazione di estrema difficoltà e in alcuni Paesi le tensioni sociali si stanno lentamente palesando. In altri e irripetibili periodi storici, la storia della Germania ha dimostrato come situazioni di crisi economico-finanziarie così ravvicinate nel tempo determinano una pericolosa radicalizzazione della politica. D’altra parte la stessa crisi dell’eurozona, e le sue conseguenze economico-sociali, ha determinato la nascita di partiti euroscettici in quasi tutti gli Stati membri, ma anche all’interno del Parlamento europeo. Per combattere questa situazione, l’Unione europea, in particolare la Germania, hanno fatto cadere tutti i tabù e hanno permesso l’emanazione di eurobond al fine di spingere gli Stati in difficoltà economica a effettuare riforme economiche per migliorare la loro situazione di crisi. Se gli Stati membri che si trovano in una situazione economica più complessa, e in particolare l’Italia, non riescono a utilizzare in maniera efficace questi fondi, uscendo dalla crisi in cui si trovano da 20 anni a questa parte, le situazioni di instabilità politica potrebbero portare a pericolose conseguenze, mettendo cioè in discussione la stessa esistenza della Ue e con questo la funzione che l’Unione svolge di garanzia della stabilità dell’intero continente europeo.
(Marco Biscella)