Il progetto italiano dell’Alta Velocità ferroviaria presenta molti aspetti critici: innanzitutto costi astronomici, che assorbono e assorbiranno buona parte delle risorse per infrastrutture del Paese, e sono risultati circa tripli che negli altri Paesi europei.
Questo sarebbe di per sé un forte elemento di perplessità, che rende in parte impossibile un confronto paritetico con l’Europa: infatti a parità di utilità delle opere, il risultato netto, con questi costi, è senz’altro molto meno favorevole per l’Italia, se non addirittura dubbio.
Poi, i corridoi europei hanno un significato assai più politico che tecnico, cioè sono strumenti per consentire il finanziamento di ogni tipo di opere. Infatti di tali corridoi ne sono sorti nel tempo un’infinità, alcuni davvero impensabili (uno di essi per esempio va da Lisbona a Barcellona, poi via mare fino a Civitavecchia, poi ad Ancona, poi di nuovo via mare fino a Patrasso, e così via).
Inoltre, mentre alcune linee AV sono state un successo, altre hanno avuto risultati estremamente deludenti, ma vengono pubblicizzate dai governi (e dagli interessi costituiti) ovviamente solo le prime.
Lo stesso corridoio 5 dovrebbe collegare Lisbona con Kiev, come se fossero pensabili rilevanti flussi di traffico tra queste due località. In particolare, va ricordato che i traffici sia merci che passeggeri sono per il 75% di scala regionale, cioè entro i 50 km circa, come in queste proporzioni sono i costi per le imprese e le famiglie, l’inquinamento generato, la congestione, ecc.. In particolare, il traffico di lunga distanza sulla parte italiana del corridoio (Frejus-Tarvisio), non supera il 5% del totale.
Un altro aspetto fondamentale della natura politica di tali progetti è di tipo industriale: l’Europa non consente più trasferimenti di denaro alle imprese nazionali (almeno fino alla crisi attuale), ma il settore delle grandi opere civili è solo formalmente aperto alla concorrenza: in tutti i paesi, il 95% degli appalti sono vinti da imprese nazionali, e spesso poi queste imprese manifestano gratitudine.
Il caso della linea AV Torino-Lione (parzialmente a differenza del tunnel del Brennero), è particolarmente esemplare di queste logiche, che di funzionale o economico hanno davvero poco: si ricorda che il progetto è per le merci (le previsioni ufficiali del traffico passeggeri forniscono numeri esigui), e il transito attuale è di 7 milioni di tonnellate annue, contro una capacità della linea esistente di circa 22 milioni di tonnellate (sempre secondo stime ufficiali). Inoltre il traffico merci complessivo (ferrovia più autostrada) è in diminuzione e ha molte alternative (mare, linea ferroviaria costiera, nuovi tunnel svizzeri, ecc.).
Ma non è tutto: se il progetto fosse realizzato, si avrebbe un paradosso funzionale: i treni merci percorrerebbero una linea di alta velocità in Italia, ma sulla rete francese dovrebbero percorrere le vecchie linee ordinarie, perché la rete AV di quel Paese non consente il transito di treni merci. Infatti i francesi, leaders mondiali del settore, sanno benissimo che le merci ferroviarie non sono interessate alla velocità, e hanno progettato la rete in conseguenza.
E tutto ciò con costi astronomici: le stime ufficiali (mai rispettate nei consuntivi) parlano di 13 miliardi di euro per la sola parte italiana, in quanto il tunnel di base, che l’Europa finanzia in parte, è ormai la quota minoritaria dei costi complessivi. Questo però non emerge dai media, che confrontano sempre i costi del solo tunnel (6 miliardi) con i finanziamenti europei, che in realtà rappresenteranno una quota poco significativa del totale, visto anche che i ritorni finanziari, a meno di tariffe proibitive, pagheranno solo i costi di esercizio dell’opera.
Infine, occorre fare un cenno ai contenuti anticiclici di queste spese in “grandi opere”, ultimo tentativo recentemente richiamato per giustificarne l’accelerazione. Vi sono due evidenti argomentazioni contrarie. La prima è di ordine temporale: questi investimenti hanno tempi di realizzazione molto lunghi (spesso dell’ordine superiore al decennio, cfr. la stime ufficiali per il Frejus e per il Brennero). Ora, anche seguendo le più pessimistiche stime sulla durata dell’attuale fase recessiva, vi sono buone ragioni per assumere che l’impatto della spesa divenga pro-ciclico, e non anticiclico.
In secondo luogo, il moltiplicatore occupazionale di questi investimenti è molto modesto (cioè, per ogni euro speso, i posti di lavoro creati sono pochi, in quanto oggi si tratta di un settore fortemente capital-intensive); sempre operando per confronti tra alternative, opere minori, come quelle di manutenzione dell’esistente promesse dall’amministrazione Obama in Usa (e supportate dalle considerazioni svolte sopra sulla domanda e i problemi della mobilità anche in Italia), garantirebbero impatti anticiclici e funzionali molto più rapidi ed efficaci, a parità di spesa.