Di commenti alla crisi finanziaria, dal crollo di Lehman Brothers in poi, sono piene le pagine dei giornali. Nel frattempo tutti i paesi europei – per non parlare degli Usa – fanno i conti con le conseguenze della crisi, che ha investito in pieno l’economia reale, la vita quotidiana in cui si producono, si vendono e si comprano beni e servizi. Il 16 dicembre, su questo quotidiano, Graziano Tarantini ha lanciato l’idea di andare a vedere come stanno le cose nel mondo delle piccole e medie imprese, il cuore pulsante del nostro modello economico.



Ilsussidiario.net comincia da Manerbio, in provincia di Brescia, dove Giuseppe e Domenico Battagliola, “agricoltori da sempre”, come tengono a precisare, hanno nel 1991 l’intuizione di cambiare il modo di fare quello che hanno fatto fino ad allora, coltivare e vendere fagiolini e insalata. Decidono di innovare il processo di produzione, puntando su praticità di consumo e qualità. Le buste di verdura e frutta de La Linea Verde hanno raggiunto in poco tempo i vertici del mercato nella produzione di IV gamma e fanno ora concorrenza a quelle della francese Bonduelle. Ne abbiamo parlato con il titolare, Domenico Battagliola.



Battagliola, cosa c’è nelle buste di verdura e frutta de La Linea Verde?

Tutto è cominciato quando abbiamo intuito anni fa una tendenza precisa, di riduzione nella quantità di consumi dell’alimentare, ma al tempo stesso di un aumento di domanda di qualità del servizio. Abbiamo concentrato ogni sforzo nel trasformare la “qualità percepita” di questi cibi. Quindi abbiamo cominciato a vendere quelle che chiamo “insalate da tempo libero” all’interno della busta, lavandola e mixandola già in proporzione giusta. Poi ci siamo evoluti e abbiamo esplorato l’ambito della frutta, prima la frutta tale e quale, poi vendendola con la forchetta e con il condimento per poterla mangiare fuori casa.



Qual è l’intuizione che avete cercato di mettere in pratica?

Differenziarsi per qualità ha voluto dire cominciare a sostituirsi alla massaia già al mercato, al momento della scelta e dell’acquisto del prodotto. Capovolgendo quello che potrebbe essere il principio della produzione agricola che ha “tenuto” nel nostro paese fino al dopoguerra: non produrre qualcosa che piace soltanto a chi lo fa, perché in tal caso restano fuori troppi aspetti apparentemente secondari che diventano invece decisivi dall’altra parte, quella dell’acquirente. Vuol dire andare a vedere cosa cerca la signora che fa la spesa, cosa compra. Farsi un’idea di cosa le piace e cosa comprerà nei prossimi sei mesi, secondo la stagione.

Lei sta parlando di una ricerca di mercato. Non sembra il lavoro tradizionale di un coltivatore…

Noi abbiamo sempre fatto gli agricoltori. Io sono agricoltore e sono figlio di agricoltori, ma abbiamo dovuto abbandonare una mentalità superata e avvicinarci alle leggi del marketing, evolverci, buttarci in quello che non sapevamo fare. Così noi operiamo nel settore primario, ma con un approccio e una mentalità tipica del terziario e del mondo dei servizi. Nel ’91 abbiamo cominciato questa avventura, aggiungendo alla coltivazione del prodotto la componente tipica di servizio, quella che eleva la cosiddetta “qualità percepita”. E abbiamo anticipato le tendenze dei consumi.

Quanti dipendenti ha la sua azienda? Avete altre aziende che producono per voi?

Abbiamo due aziende a Manerbio e Folzano, in provincia di Brescia, e una a Pontecagnano, in provincia si Salerno, e da poco un’azienda in Spagna, per un totale di un migliaio di persone circa. In filiera abbiamo più di 350 aziende agricole che lavorano per noi, alle quali diamo dei disciplinari di coltura integrata: da un lato diamo loro un impegno di ritiro, dall’altro diamo delle specifiche di qualità, che teniamo costantemente aggiornate per avere un prodotto di qualità superiore. Molte delle nostre aziende produttrici sono di piccole dimensioni, soprattutto quelle che fanno rucola e spinacino. In questi casi un’azienda agricola è nel range di 5-10mila metri quadrati.

Quali scelte legano l’azienda ai suoi fornitori?

Il prodotto non lo trasformiamo, ma lo valorizziamo: cioè entra insalata ed esce insalata. Solo nel caso delle zuppe e dei piatti pronti aggiungiamo la cottura, altrimenti per frutta e verdura lo selezioniamo, lo laviamo e lo confezioniamo con materiali particolari che permettono di conservarne la freschezza e le caratteristiche organolettiche. Ma è importante che il campo dia una qualità superiore a quella che si può trovare nel prodotto consueto: è da lì che cominciamo a fare la differenza. Per questo è importantissimo essere in rapporto diretto con le aziende agricole nostre fornitrici: dodici agronomi assistono i fornitori e assicurano loro l’assistenza tecnica e lo sviluppo, aiutandoli anche a scoprire nuove varietà.

Siete presenti anche all’estero?

Il prodotto resta prevalentemente in Italia e a eccezione di Esselunga va in tutte le altre catene. In Austria siamo leader, perché serviamo i due maggiori supermercati, e da qualche mese abbiamo aperto un’azienda in Spagna.

Quali sono i vostri principali concorrenti?

Abbiamo un solo concorrente, Bonduelle, col quale siamo co-leader in Italia ma che già abbiamo superato per sviluppo, innovazione e completezza di gamma, oltre che dal punto di vista quantitativo. Per il resto c’è una miriade di piccole aziende che dal punto di vista dimensionale non hanno rilevanza. E fanno solamente insalate, ma non frutta né piatti pronti.

Quali sono, in questa fase attuale, le scelte strategiche alle quali non si sentirebbe di rinunciare?

Bisogna spingere su ricerca e innovazione e, al contrario di quello che stanno facendo tante aziende, non abbandonare il marketing del prodotto, perché occorre abbattere la sfiducia e la convinzione di non potersi permettere quello che invece si può acquistare. Perché è vero che non si può comprare tutto, ma c’è una componente psicologica anche per piccoli acquisti come sono quelli che riguardano il nostro prodotto. E sto parlando della differenza tra l’acquistare un’insalata confezionata invece di una sfusa.

Qual è la differenza?

Diciamo che c’è una differenza apparente all’inizio del processo, che va riducendosi verso la fine: se io calcolo dal prezzo di partenza al mercato o invece al nostro prodotto imbustato, il differenziale di prezzo è minimo, ma c’è un grosso vantaggio per la vita quotidiana: il tempo guadagnato la persona intelligente lo può dedicare a qualcosa di più remunerativo che pulire l’insalata.

Siamo entrati in una fase di crisi economica e si parla apertamente di recessione. Lei vede segnali di crisi?

In parte sì. Lo vediamo dalle vendite. Si vede che le offerte stanno diventando sempre più efficaci e che quando si mette qualcosa in offerta la gente non se lo fa scappare. E ti accorgi che, nell’arco del mese, esiste il famoso calo della terza e quarta settimana. Ora si è accentuato. Ma noi stiamo crescendo, reggiamo il colpo.

Cosa vuol dire, nel vostro caso, far fronte alla crisi, o come ha detto lei, “reggere il colpo”?

In condizioni di mercato divenute più difficili, occorre essere pronti e cogliere le minime tendenze di cambiamento. Esse sono che la forbice da chi è più ricco a chi è più povero si è aperta, quindi bisogna allentare la presa sui prodotti medi e spingere di più sulle offerte, sui primi prezzi, sui pacchi doppi, tenendo ampia la gamma. E poi è anche un problema di mentalità, di come si vedono le cose. Dovremmo forse smetterla di enfatizzare troppo la crisi e coglierne invece le opportunità. Si dice: “c’è la crisi energetica”… no, non è vero, l’abbiamo avuta all’inizio dell’anno, ma l’abbiamo superata e abbiamo terminato l’anno con prezzi che si stanno riducendo.

All’inizio lei ha fatto risalire la svolta che vi ha condotto alla IV gamma ai primi anni ’90. Che cosa vi ha spinti al salto?

Il bisogno. Avevamo una piccola azienda agricola che faceva ortaggi, ma era destinata a morire se non avessimo trovato uno sbocco ulteriore nello sviluppo del business. Cercando di svilupparci abbiamo intravisto gli “albori” di quella che oggi si chiama quarta gamma. Ci ha guidati la “fame” di innovare e la passione. Senza la passione al proprio lavoro non si fa nulla.

Chi proseguirà la sua attività?

Per ora il problema non si pone, perché io ho quarantaquattro anni, mio fratello cinquantuno e speriamo di guidare l’azienda ancora a lungo… È un problema che, mi auguro, non avremo. Da parte nostra, naturalmente, c’è la massima disponibilità a che i nostri figli possano continuare la nostra attività, sperando che possano fare di meglio rispetto a quanto abbiamo fatto noi, come è stato per i nostri genitori.

Visto che lei mi ha parlato di passione per quel che fa, vien da pensare che l’idea di vendere l’azienda non l’abbia mai sfiorata.

No, nel modo più assoluto. Siamo una realtà che ha l’orgoglio di essere italiana e che vuole essere di riferimento per tutta una serie di produttori e fornitori che hanno questo tipo di approccio. Cerchiamo di non nascondere la nostra identità ma di farne una bandiera, mandando avanti l’azienda nello spirito con cui è nata. È chiaro che la situazione adesso non è delle migliori, ma è anche vero che il mondo non si ferma domani. Bisogna cercare di cogliere le opportunità ovunque, senza andare contro il mercato, ma cercando di sfruttare le possibilità che offre.

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