Continua l’emergenza cibo nei paesi più poveri del mondo e sul banco degli imputati, come noto, ci sono anche i biocarburanti. I programmi sul biofuel sono comprensibili in un periodo di abbondante disponibilità di prodotti agricoli, ma «non hanno senso in un momento di crisi alimentare mondiale» – ha detto Jeffrey Sachs, economista e consigliere speciale delle Nazioni Unite, nel suo intervento al Parlamento europeo sulla questione della crisi alimentare. «Bisogna ridurre i programmi sul biofuel in Usa e Europa – ha detto Sachs – perché nonostante siano «utili e comprensibili in un periodo di ampi stock alimentari, non hanno senso in una situazione di scarsità alimentare».
Intanto, l’allarme è venuto ieri dalla Guinea Bissau, uno dei paesi più duramente colpiti dal caro delle derrate alimentari primarie, dove sono stati immessi sul mercato più di 100 tonnellate di riso ad un prezzo nettamente inferiore a quello di mercato. Con un piccolo particolare: il riso è scaduto e nemmeno l’indigenza di persone ridotte alla disperazione consentirà di renderlo commestibile, perché una volta cotto si rivelerà nauseante e immangiabile. Le locali associazioni di consumatori, che accusano commercianti corrotti, non sono riuscite a identificare i dati di stoccaggio del riso scaduto.
Assume così di giorno in giorno proporzioni sempre più gravi l’emergenza causata dal caro prezzi degli alimenti base, che sfamano le popolazioni più povere. Robert Zoellick, presidente della Banca Mondiale, ha recentemente ricordato che i prezzi del riso sono cresciuti a livello globale del 75% in soli due mesi, mentre quelli del grano del 120% nell’ultimo anno. E sottolineando le gravi difficoltà nelle quali si trovano le organizzazioni umanitarie che fanno capo alle Nazioni Unite. Da qui i ripetuti richiami ad una serie di azioni concertate tra le grandi potenze per alleviare la piaga della scarsità di cibo, intervenendo sui programmi di aiuto con iniezioni di finanziamenti: dal recupero di 500 milioni di dollari da destinare alle Nazioni Unite, al raddoppio dei 400 milioni previsti per gli aiuti all’agricoltura nell’Africa sub-sahariana da parte della stesa Banca Mondiale, secondo quanto ha detto lo stesso Zoellick. E gli Usa non stanno fermi: il presidente Bush ha ribadito qualche giorno fa l’impegno del governo americano, con cinque miliardi di dollari nel 2008 e nel 2009 per sostenere i programmi di aiuto.
D’altra parte il problema è molto complesso e si ha davvero l’impressione che una regia della corsa agli aiuti sia alquanto complicata. Il prezzo dei prodotti agricoli è stato basso per tanti anni e il repentino rialzo, oltre ad aver messo in ginocchio i Paesi del Terzo mondo, ha mostrato la difficoltà di far fronte ad un fenomeno senza precedenti. Così, mentre i ministri del commercio dell’Asean (Associazione dei paesi dell’Asia del sudest) riuniti a Giakarta sabato scorso hanno stabilito di cercare una via comune per stabilizzare il prezzo del riso e aumentarne la produzione, e hanno affermato che l’esportazione potrà proseguire a condizione che il bisogno interno sia soddisfatto, Oliver De Schutter, nuovo relatore delle Nazioni Unite per l’emergenza cibo, ha chiesto che il Consiglio per i diritti umani dell’Onu, che ha sede a Ginevra, si riunisca per affrontare la crisi alimentare globale e ha auspicato che la riunione possa venire convocata intorno al 22 o 23 di maggio. Non solo: in un’intervista al quotidiano francese Le Monde ha anche affermato che «paghiamo vent’anni di errori», tra i quali la speculazione, che avrebbe lasciato le borse per rivolgersi alle materie prime, e l’agricoltura industriale, «fondata su fattori produttivi troppo costosi». Per non citare, infine, la tendenza della Banca Mondiale e del Fondo monetario internazionale a spingere verso la liberalizzazione dei mercati, rendendo i paesi in via di sviluppo «vulnerabili alla volatilità dei prezzi».