All’interno della grande crisi economico-finanziaria che stiamo attraversando, è compresente una moltitudine di “microcrisi”, anzi sarebbe più opportuno dire che la grande crisi genera microcrisi che hanno la forza di distruggere ricchezza, di interrompere attività produttive, di creare disoccupazione, di rallentare lo sviluppo e soprattutto di creare condizioni di aeticità nell’economia di tutti i giorni. La grande crisi ha preso origine da scelte profondamente aetiche o meglio, da scelte che si ispirano a quei principi (ontologicamente non etici) per cui «gli affari sono affari» e «i soldi non hanno odore».
Sono queste due locuzioni banalmente comuni, due frasi fatte che vengono usate facilmente e acriticamente proprio perché espressione di un “pregiudizio” che è venuto a formarsi e a consolidarsi nel tempo e che l’uomo comune usa in forma oggettiva quasi a voler sottolineare la neutralità delle cose economiche rispetto ai valori sociali ed etici che accompagnano tutte le altre azioni umane. Sono queste due locuzioni-norma che intendono costituire un presunto principio etico per disfarsi dell’eticità di tutti i giorni. Gli affari sono gli affari ed i soldi non hanno odore divengono così il presupposto pseudo-etico che permette la non giustificazione dell’affare secondo metri differenti dal tornaconto e, nella sostanza, sono la sintesi di un pensiero economico che ha come unico deus ex machina la cosiddetta “mano invisibile” per cui è sufficiente in economia avere considerazione per il proprio interesse, in quanto sarà il mercato, successivamente, a fare il resto e a garantire scambi proficui per tutti.
Quanto queste affermazioni stridono con la realtà quotidiana è esperienza di ciascuno e di tutti; quanto siano lontane dai principi del bene comune, della solidarietà, della reciprocità e della gratuità (il principio del “dono” sollecitato da Benedetto XVI nella Sua ultima enciclica) dovrebbe costituire momento di riflessione e di riesame del pensiero e dell’operato economico. Fra i molti esempi che si possono avanzare intendiamo approfondirne uno, che oggi ci sembra quanto mai presente e dirompente; lo individuiamo come l’effetto «di carenza finanziaria provocata sulle piccole e medie imprese».
Il fabbisogno finanziario caratterizza in maniera continua le attività produttive delle imprese, questo, in estrema sintesi, è dovuto alla circostanza che il flusso dei costi normalmente precede quello dei ricavi; nei periodi di normale congiuntura il concatenarsi dei cicli produttivi e dei flussi dei costi e dei ricavi permette alle imprese un livello soddisfacente di copertura finanziaria magari, opportunamente, collegato con un adeguato livello di indebitamento commerciale e finanziario. L’impresa fronteggia il proprio fabbisogno finanziario ricorrendo congiuntamente al capitale proprio ed al capitale di terzi (indebitamento). La fonte ordinaria mediante la quale l’impresa immette nel proprio ciclo produttivo attività finanziarie è data dagli incassi commerciali a fronte dei propri ricavi. Ciascuna impresa cerca di riscuotere i propri crediti nel più breve tempo possibile e cerca, invece, di allungare il più possibile (ma in termini ragionevoli) i tempi di pagamento dei propri debiti commerciali. Tutto questo nei periodi di “normalità” economica.
In questo periodo di crisi stiamo, invece, assistendo al dilagare di un’anomalia. Le imprese, specialmente quelle che hanno un certo peso nel loro settore di riferimento, hanno allungato ulteriormente i tempi dei pagamenti ai loro fornitori ed ai loro professionisti i quali vedono in questa maniera incrementato il loro livello di fabbisogno che cercano di colmare rivolgendosi alle istituzioni creditizie le quali (con qualche eccezione per le piccole banche di natura territoriale) hanno “chiuso” quasi completamente l’erogazione del credito. A questo si aggiunga che anche l’Azienda Stato (ma anche gli altri enti territoriali) ha allungato in maniera vertiginosa la dilazione dei suoi pagamenti (sia per forniture ricevute sia per rimborsi fiscali) alle imprese ed ai professionisti, mentre nella fase di riscossione delle imposte le pretende nei tempi previsti e le eventuali forzate dilazioni sono onerose per multe ed interessi di mora. Il tutto è estremamente svantaggioso per le piccole e medie imprese e per i professionisti. Da qui il ridimensionamento produttivo con tutte le conseguenze che questo porta con sé.
C’è necessità di interventi di immediato sostegno alla tesoreria delle imprese, c’è necessità che lo Stato intervenga affinché i pagamenti commerciali tra imprese abbiano obbligatoriamente scadenze massime ragionevolmente prestabilite e che esso stesso si impegni nei propri pagamenti, specialmente quelli di fornitura al proprio apparato, in tempi assai meno biblici degli attuali.