La crisi che i mercati stanno attraversando è ampiamente descritta e le analisi si sprecano, oggi come sempre, dividendo i guru fra catastrofisti, ottimisti e pochissimi realisti, più capaci cioè, di tener conto di tutti i fattori. Oggi, che la speculazione “gioca al ribasso” e attacca il ventre molle dell’Europa, non a caso le voci più forti e più pubblicizzate dai media sono quelle dei catastrofisti, soprattutto in Italia. Pochi, come Zaccheo, sulle pagine de ilsussidiario.net, indicano lucidamente le cause e la via d’uscita dalle mortifere spire degli speculatori o, come Passali, indicano la necessità di assumersi una responsabilità personale.
Tutti gli indicatori confermano che dal punto di vista economico però, la situazione è migliore rispetto a un anno fa. Lo stato di salute dell’economia è un po’ più roseo e l’euro che si sta indebolendo probabilmente agevolerà le imprese europee e permetterà loro di essere più competitive.
Il mercato sta facendo, come sempre i prezzi e in questi giorni la volatilità è molto alta, ma sta anche tornando a valutare in modo puntuale le diverse forme di rischio, distinguendo tra “buoni” e “cattivi”. La “cattiva” Grecia, che ha barato sui conti in un paese che ha vissuto per anni sul filo di una crescita truccata ha dovuto ricorrere all’inizio di maggio al pacchetto di aiuti per 110 miliardi di euro in tre anni per evitare il fallimento.
Così non è stato per Spagna e Portogallo, paesi che devono affrontare oggettivi problemi di debito, difficoltà a collocare presso i propri cittadini i titoli di Stato e soprattutto il panico. Il panico non permette di ragionare. Il risultato è un mercato sul quale si muovono molti speculatori. Molto spesso ai risparmiatori vengono proposti titoli corporate, come Enel, Eni, Italcementi come unica alternativa ai titoli governativi.
La speranza è che l’Europa e i singoli Stati adottino concrete e rapide soluzioni, per uscire dalla crisi, ascoltando il parere e i suggerimenti non solo dei finanzieri, ma anche di economisti, autorevoli come, per esempio,il Professor Quadrio Curzio e tenendo conto di tutti i fattori e dei dati reali, come quelli, esposti in qualche raro studio non ideologico presentato senza censure e pregiudizi. Nel frattempo c’è chi, ogni giorno, è chiamato a decidere dove allocare le risorse finanziarie dei molti risparmiatori che soprattutto in Italia continuano per fortuna a esistere. Il primo obiettivo è di garantire la sicurezza.
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È fondamentale che oltre ai gestori, ci sia chi consiglia a ogni singolo investitore la soluzione adeguata alle sue esigenze, permettendogli di monitorare costantemente l’andamento dei propri investimenti e la liquidabilità degli stessi, in ogni momento, perché evolvono rapidamente gli scenari e anche le condizioni e le esigenze nella propria vita e non è detto che le soluzioni adottate l’atro ieri siano le migliori per l’oggi o il domani.
Costui, come il sottoscritto, può sentirsi sereno e libero solo se la sua consulenza non è viziata da indicazioni che tengano conto di budget o di politiche aziendali che nulla hanno a che fare con gli interessi dei clienti e può proporre prodotti e soluzioni innovative. Il 2008 ha dimostrato che questi prodotti, se ben costruiti, funzionano e aiutano in un portafoglio ben diversi?cato.
Questa situazione mi sta facendo ripetere, in questi giorni e in forma anche un po’ provocatoria, l’affermazione che il posto migliore dove tenere i propri risparmi è proprio la borsa, quando il primo titolo dei quotidiani e dei telegiornali è, un giorno sì e un no, “in Borsa bruciati tot centinaia di miliardi …”.
Scrivevo un commento all’articolo di Giovanni Passali, pubblicato il 19 maggio: “Le azioni, rappresentano, con tutti i distinguo necessari, un pezzo dell’economia produttiva, che, soprattutto, da lavoro e va sostenuta anche rischiando capitali. Oggi è possibile investire in azioni relativizzando molto i rischi. I pezzi di carta (moneta o obbligazioni governative e non) rappresentano solo debiti e quindi crediti che rischiano di essere inesigibili. Altro che miliardi di capitalizzazione bruciati in borsa”.
Dicevo di prodotti e soluzioni innovativi, proposti da chi si occupa di risparmio gestito che convertono la moneta, le banconote, in azioni o in altri strumenti o titoli che sono quotati in borsa. Ci sono, per esempio, prodotti gestiti con il supporto di un algoritmo che il gestore ha inventato per razionalizzare le scelte di investimento e per conoscere in anticipo quale sarà la perdita massima anche nello scenario peggiore.
È possibile investire una parte dei propri risparmi su comparti che appartengono a una nuova gamma di prodotti gestiti come gli hedge fund che possono essere meno correlati all’andamento dei mercati. Purtroppo e soprattutto in Italia, parlare di hedge fund spesso è come parlare in Ungheria di gulash o in Italia stessa di vino o di formaggio, facendo finta che il vino sia solo il prodotto di qualsiasi uva pigiata, il formaggio sia solo un tipo di pasta derivata dal latte cagliato e che il gulash sia una specie di brasato rosso un po’ piccante. Il risultato è che per molti potenziali investitori gli hedge fund sono tabù.
Le strategie long/short equity, market neutral e commodity sono tutte modalità di investimento relativamente nuove nel mondo dei fondi comuni che, se ben gestite, possono risultare ottimali per ridurre il cordone ombelicale tra mercati (azionari o obbligazionari) e rendimenti dei prodotti.
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Chi ha bisogno come l’aria di raccogliere la liquidità altrui, per sistemare i propri conti o per garantirsi margini di ricavo importanti, imprestandola, si semplifica la vita, proponendo i Pronti conto termine (PCT), con un sottostante titolo governativo o meglio, un bella obbligazione bancaria come sono la soluzione sicura e redditizia per impiegare la liquidità.
Cito solo il titolo di un articolo apparso a pag. 3 de Il Sole 24 Ore del 12 maggio: “Indigestione di bond di stato per le banche di Eurolandia”. L’indigestione bisogna in qualche modo smaltirla. Il rendimento con i tassi odierni, ma soprattutto l’incertezza rispetto alle tattiche da adottare per cogliere le opportunità di un loro rialzo in futuro, sono agli argomenti critici, quando si parla di gestione della liquidità.
Chi racconta che ci sono sul mercato alcuni prodotti innovativi che offrono performance adeguate con un forte controllo del rischio (non c’è per esempio il rischio emittente) e con precise stop loss annue (perdite massime)?
Se la diversificazione di cui si parlava prevedeva un 20% di azioni (di cui 50% Europa e 50% America), un 60% di obbligazioni e un 20% di liquidità, oggi ha senso diversificare per relativizzare il rischio e ottimizzare la possibilità di conseguire giusti guadagni in tempi diversi e vivendo profili di rischio accettabili soggettivamente, con un portafoglio composto ad esempio da un 25% di strategie non direzionali di tipo alpha con gestione tattica esposizione azionaria, un 25% di strategie tipo hedge con forte diversificazione (global macro, trading su commodity e Multistrategy), un 20% di strategie quantitative con modelli matematici per il controllo del rischio un 20% di strategie multimanager asset, bilanciate e obbligazionarie con gestione dinamica duration (profilo di rischio basso) e un 10% di strategie flessibili più direzionali equity diversificate per temi e aree geografiche (Globale, America e Emergenti).
Se il mercato e la maggior parte degli operatori non si sta assumendo responsabilità, c’è qualcuno che invece ha voglia di spiegare tali metodologie per investire anche in borsa e società in grado di gestire bene questi nuovi prodotti. C’è infatti chi dispone di soluzioni e prodotti adatti a questa particolare situazione di mercato. Prodotti con poco debito e bassa correlazione con i mercati, grazie all’innovazione introdotta dalla normativa europea UCITS III, che permette una maggiore libertà gestionale con l’utilizzo di tecniche di copertura prima non utilizzabili.
Il nostro paese ha diverse eccellenze e un recente studio di Bank of America Merrill Lynch, conferma e certifica che c’è in Italia una società che ha recepito e attuato per prima e tra le prime in Europa la normativa ed è perciò in grado creare portafogli dal profilo di rischio basso con una limitatissima esposizione al debito e quindi al rischio Paese. C’è chi ha investito da tempo la maggior parte degli utili conseguiti per permetter che l’Italia vi sia un’altra eccellenza, proprio in quel settore che era considerato appannaggio degli “gnomi della finanza” che soggiornano in altri paesi europei o extraeuropei.
Un esempio dei fondi di nuova generazione è quello che dall’inizio del suo collocamento fu denominato scherzosamente il “pronti contro termine azionario” nello stesso momento, dopo il fallimento della Lehman Brothers, in cui era ulteriormente incentivata la fuga dal risparmio gestito per far sottoscrivere i classici PCT, data la gravissima crisi di liquidità che le banche stavano attraversando. Questo fondo ha ottenuto un rendimento netto del 5,66% contro l’1,72% dell’indice MTS Monetario (dati dall’ottobre 2009 al 30 aprile 2010) grazie all’utilizzo di una strategia market neutral che prevede l’acquisto di un paniere di titoli e la vendita contestuale del suo future.
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Per entrare più nel merito degli strumenti di cui stiamo parlando, vorrei anticipare i vantaggi concreti di tali innovazioni in una situazione difficile come quella attuale. Oggi, oltretutto e finalmente, anche il singolo risparmiatore può apprezzarli, usufruendo di un servizio che normalmente è destinato esclusivamente alla tesoreria delle banche e delle assicurazioni.
Le soluzioni adottate dal team di una società indipendente di gestione sono in grado di sostituire il debito sia governativo sia bancario con strumenti che ne sintetizzano il comportamento, con una quota ridotta del debito di alta qualità e con azioni o materie prime (che rappresentano l’economia e i beni reali) gestite con tecniche innovative e con controllo rigoroso della volatilità.
L’investimento in obbligazioni e titoli di stato tradizionalmente rappresenta il cassetto mentale “sicurezza”. Le statistiche ci dicono che, normalmente, i risparmiatori sono disposti a investire in tale cassetto dal 70% fino addirittura al 100% del proprio portafoglio. L’investimento in azioni e beni dell’economia reale rappresenta invece, tipicamente, il cassetto mentale “rischio”. I risparmiatori sono disposti a investire in tale cassetto al massimo un 30-40% del proprio portafoglio. Oggi abbiamo la dimostrazione che il rischio può stare anche nel debito.
Forte controllo della volatilità (e quindi del rischio) con stop loss su molti prodotti e con l’utilizzo di strumenti a copertura per ridurre il rischio credito (oggi molto attuale), sono i punti fermi di una gestione attiva che può ottenere performance indipendentemente dai mercati.
La diversificazione per stili, mercati e valute per ridurre il rischio è ancor più apprezzabile se l’innovazione, la consulenza specializzata, l’attenta gestione e una strategia chiara di controllo del rischio, sono stati offerti dai partner di una società che ha sempre messo al riparo i propri clienti dagli scandali passati (Parmalat, Cirio, Giacomelli, bond argentini, mutui subprime americani e Lehman Brothers) e dai prodotti di ingegneria finanziaria come i prodotti strutturati o i prodotti a capitale garantito e oggi, con assoluta trasparenza, può dimostrare che nessuno dei suoi prodotti detiene titoli greci o portoghesi.
In conclusione, spero che la mia affermazione, con la quale ho titolato il mio intervento, non sia giudicata come quella di un pazzo, ma che possa almeno provocare un’attenta riflessione e motivare a cercarsi presto un consulente.