Ci siamo, prepariamoci a un nuovo tonfo dell’euro e al disfacimento dell’Europa così come la conosciamo. Il rally di recupero è finito e non diamo la colpa alla rivalutazione – assolutamente farlocca – dello yuan o alle bizze di dollaro e yen, all’apprezzamento della sterlina o del franco svizzero.
La colpa è tutta interna all’Ue, anzi al suo cosiddetto nucleo forte: Germania e Francia, la prima costretta a manovre diversive per non dover affrontare la bomba a orologeria di bad assets su cui siedono le sue banche, la seconda deputata a essere madrina del primo default di un grande istituto di credito in area euro, come annunciato – senza fare ovviamente nomi – dalla Bce nel suo bollettino mensile (il downgrade da parte di Fitch di Bnp Paribas parla questa lingua ma ad aver maggior timori sono Credit Agricole – che ha già annunciato il writedown di 400 milioni di euro della sua unità greca, Emporiki, e un totale di perdita lorda per il 2010 di 750 milioni di euro – e Societe Generale, massacrate dalle vendite nella seduta di Borsa di martedì).
A certificare il prossimo bagno di sangue per la divisa comune europea ci ha pensato Roelof vand der Akker, chartist alla Ing Wholesale Banking, secondo cui il rally degli ultimi periodi altro non è che una correzione a breve di un downtrend più ampio e sistemico che ci porterà a un vero e proprio sell-off: per van der Akker, «se l’euro non riuscirà a costruire una base solida attorno a 1.217 sul dollaro, il passo successivo sarà attestarsi a 1.18 per scivolare velocemente a 1.14, nuova base in attesa del downtrend verso la quasi parità con il biglietto verde fissata a 1.03 da chi sta shortando la moneta unica Ue». L’euro ha cercato un punto di resistenza più alto verso il dollaro, ottenendo robusti guadagni nelle ultime sessioni di cambio, ma per van der Akker c’è poco da sperare: la divisa comune subirà un nuovo sell-off e questo influirà anche sul mercato azionario europeo.
Ma come fa questo “oscuro” analista a essere così certo? Quali basi macro ha per parlare in questi termini? Semplice, gli analisti di Ing Bank lunedì scorso hanno emesso un report per gli investitori in cui si dicevano certi dell’indebolimento dell’euro a causa del piano a cui starebbero lavorando in sede Ue Germania e Francia, ovvero la creazione di una “two-tier Euro zone”, ovvero un euro a due velocità che un funzionario dell’Ue ha dipinto come “piano B” a cui si starebbe lavorando per uscire dalla crisi globale innescata dalla Grecia.
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Il primo gruppo, quello dei paesi forti altresì definito “super-euro”, vedrebbe al suo interno oltre che Parigi e Berlino anche Olanda, Austria e Finlandia, mentre Italia, Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda farebbero parte del secondo gruppo, non si sa in che modo legato al primo ma quasi certamente da un peg fisso di riferimento. «È la sopravvivenza stessa dell’euro a essere sotto i riflettori dopo che sono filtrate queste indiscrezioni», scrivono nel loro report a Ing.
Stando a quanto riportato dal Daily Telegraph, il funzionario europeo responsabile della soffiata, avrebbe così descritto quanto sta accadendo in sede Ue: «La filosofia che sottende il “piano B” è basata sul fatto che le nazioni più forti devono staccarsi da quei paesi che non sono in grado di salvare. Per riuscire a contenere i possibili danni, i paesi del super-euro devono porre in essere qualcosa di drammatico, nonostante questo possa portare con sé conseguenze pesanti nel medio termine. È realmente un atto di disperazione. Non stanno parlando di una situazione ipotetica ideale ma del minore dei mali. Salvare la Grecia sarebbe relativamente economico, ma in sede europea l’argomento di cui davvero si parla è la Spagna: che non si può salvare ma nemmeno far fallire. Inoltre, sia a Parigi che Berlino sanno che è politicamente impossibile, controproducente, soltanto provare a far digerire ai cittadini un altro salvataggio di paesi “deboli”».
Per gli analisti di Ing Bank, «il fatto, molto semplice, è che non ci sono risposte semplici e a portata di mano per i problemi di competitività e solvibilità dell’Europa meridionale. Che la discussione sull’eurozona a due velocità sia più o meno negata, il punto non cambia: i mercati dubitano e continueranno a dubitare sul fatto che la zona euro possa continuare con questo assetto. Questo porta a un ulteriore indebolimento dell’euro nei mesi a venire». Indebolimento che sempre Ing fissa a 1.10 contro il dollaro entro la fine dell’anno: ringraziate pure Merkel e Sarkozy, il loro capolavoro sta per giungere a compimento.
Ma a Ing non sono così negativi: un’ipotesi di eurozona a due velocità vedrebbe il vecchio euro crollare contro il nuovo euro, garantendo un balzo per la competitività dei paesi “deboli” e per rafforzare la loro idea citano Michael Arghyrou e John Tsoukalas, che già all’inizio di quest’anno parlarono di questa ipotesi come inevitabile. Il problema, però, è che le nazioni dell’euro debole si troveranno addosso i debiti del “super-euro”, un qualcosa che nel breve termine potrebbe aggravare i problemi di solvibilità.
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In parole povere, bisognerebbe convincere i mercati del fatto che la maggiore competitività di cui godranno nel medio termine i paesi dell’euro debole, oltre alla grandi riforme strutturali che dovranno compiere, sapranno garantire forza e crescita sufficiente e necessaria per far fronte all’iniziale onere di extra debito. Voi ci credete, visto come stanno reagendo i mercati al salvataggio greco, al piano monstre di Ue e Fmi e alle misure draconiane a livello fiscale e di spesa di molti paesi europei? Io no, sono sincero.
Temo che lungi dall’attaccare la valuta, divenuta di fatto doppia – quasi un sottostante da replicare, roba da cfd – si parta con l’assalto alla diligenza. E, soprattutto, il grosso rischio – se davvero si comincerà ad analizzare seriamente l’ipotesi di eurozona a due velocità – è quello di una fuga di capitali dai paesi cosiddetti “deboli”, un qualcosa di destabilizzante che potrebbe tramutarsi in un colpo mortale per paesi come Spagna e Portogallo.
Insomma, il conto alla rovescia è cominciato. E se la risposta europea alla crisi sta nella tassazione delle operazioni finanziarie e degli istituti di credito, già in difficoltà di capitalizzazione e quindi obbligati a scaricare questo costo accessorio sui clienti (solo Emma Mercegaglia sembra averlo capito, peccato non sia ministro delle Finanze), siamo davvero sull’orlo del precipizio.
A certificarlo ci ha pensato ieri Christian Noyer, governatore della Banca di Francia, il quale ha onestamente ammesso che «molti istituti bancari stanno cominciando ad affrontare seri problemi di finanziamento». Come dargli torto, alla fine di questo mese scadono i prestiti a dodici per 442 miliardi di euro erogati un anno fa dalla Bce: il nervosismo, giustificato, sta salendo. Se la risposta sono nuove tasse per le banche, siamo davvero a posto.