«L’Eurozona dovrà affrontare una settimana decisiva per trovare una soluzione alla crisi europea del debito», sostiene il premier greco, George Papandreou, secondo il quale da qui al prossimo weekend «si determinerà il destino dell’Eurozona». Papandreou, alla vigilia di un incontro con il presidente della Repubblica, Carolos Papoulias, ha messo inoltre in guardia dal rischio di «prolungata insicurezza, se domenica i leader europei non prenderanno decisioni definitive». Per tutta risposta, il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schauble, sempre ieri ha escluso che al prossimo vertice Ue del 23 ottobre ci possa essere un’intesa conclusiva sulla crisi del debito europeo.
Evviva l’Europa unita! Non so voi, ma io comincio a non capirci più niente. Banchieri, centrali e non, che difendono gli indignados e la loro protesta, un G-20 che doveva dare risposte e invece ha visto soltanto avvicinarsi il credit event greco e gli Usa chiudere la porta, nei fatti, all’opzione Fmi per la soluzione della crisi del debito Usa, ponendo il veto su rifinanziamenti di programmi d’emergenza del Fondo. Come in certe pratiche erotiche in cui si cerca il piacere estremo attraverso l’asfissia, regolatori e politici sembrano intenti ad arrivare il più possibile vicino al punto di non ritorno, prima di agire. Sarà tardi? Temo di sì.
Questo bondage economico-finanziario, infatti, è di pericolosità estrema, soprattutto se inserito in un contesto come quello attuale, in perenne equilibrio precario tra afflato autoassolutario e il giacobinismo più ideologico e cieco. Che dire, a vostro modo di vedere, del fatto che gli indignados di Wall Street, il cosiddetto “Occupy Movement”, godano per i loro servizi di comunicazione con i media dei servigi pro bono della Workhouse Publicity, azienda leader delle pubbliche relazioni newyorchesi, con un portafoglio clienti che va da Saks Fifth Avenue (primo azionista, con il 19,05%, Diego Della Valle) a Mercedes Benz? Lo denuncia Gawker, come nessuno, fino a oggi, ha smentito.
Poco mi interessa se dietro ci sia davvero l’ex speculatore tramutatosi in filantropo (per se stesso), George Soros: ciò che so, è che utilizzando i criteri populistici e le categorie pressapochistiche di questa protesta globale, Soros dovrebbe essere di fronte alla Corte penale dell’Aja per crimini contro l’umanità, invece flirta con gli indignados senza che questi prendano le distanze. Mah, ripeto, io comincio a non capirci più nulla. In confusione appare anche il ministro delle Finanze francese, Francois Baroin, il quale al G-20 non si è sbilanciato rispetto a un’intesa sul taglio del debito della Grecia entro il 23 ottobre, cioè entro il Consiglio europeo: «Abbiamo fatto buoni progressi con il collega tedesco. Ci sono punti di intesa che emergono molto chiaramente e troveremo un accordo, anche se è prematuro dire se l’intesa emergerà per il 23 ottobre. La Francia rifiuterà qualsiasi soluzione che porti a un credit event». Ecco il nodo, vero e inconfessato del problema.
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Più netto il giudizio del ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, il quale domenica ha detto chiaramente che il taglio dei rimborsi ai creditori della Grecia dovrà essere superiore al 21% stabilito a luglio: «Una soluzione duratura della crisi del debito greco non si potrà trovare senza una svalutazione del debito, che probabilmente dovrà essere più alta di quella prevista questa estate. I dettagli si stanno già discutendo. Non tutto dovrà essere già definito per il vertice europeo, ma il principio dev’essere chiaro». Lo ha capito anche Charles Dallara, numero uno dell’Institute of International Finance, che raggruppa i creditori privati della Grecia, dichiaratosi, a stretto giro di posta, pronto a ridiscutere l’accordo per il taglio dei rimborsi ad Atene, ma solo nell’ambito di un pacchetto più ampio che comprenda precise soluzioni sulla crisi del debito europeo: «Se la comunità europea è interessata a chiedere ai creditori privati di rivedere i termini dell’accordo sulla Grecia, ciò potrà avvenire soltanto nell’ambito di un processo più complessivo di risoluzione del problema del debito sovrano in Europa».
Che cambiamento di toni rispetto soltanto a venerdì scorso, quando lo stesso Charles Dallara diceva chiaro e tondo al Financial Times che i creditori non accetteranno perdite superiori al 21%, quota decisa lo scorso luglio in seno al secondo pacchetto di salvataggio ellenico: «Una scelta simile non servirebbe ad altro che alla svendita immediata del debito degli altri paesi dell’Eurozona da parte degli investitori spaventati, destabilizzando la moneta unica. Non vediamo nulla di straordinario per cui rivedere l’accordo sottoscritto. Un accordo è un accordo». Qualcosa di molto serio è successo durante questo weekend, ovviamente a porte chiuse e senza che nessuno si sia premurato di renderlo noto ai sudditi! Il problema è che se da un lato la Germania sta per cedere di fronte alla realtà, ovvero sta accettando che i tagli arrivino anche fino al 50-60% (stante la sell off a ogni prezzo del proprio portafoglio obbligazionario già compiuta dagli istituti teutonici negli ultimi due mesi), dall’altro Francia e Bce puntano a eventuali aumenti degli haircuts solo su base volontaria, visto che gli istituti transalpini sono ancora strapieni di bond greci e periferici e il timore è quello di un default greco su ampia scala che inneschi le clausole dei credit default swaps e getti così il mercato nel panico.
Sempre il Dallara prima versione sottolineava come «è prematuro dichiarare che la sostenibilità del debito decisa nell’accordo del 21 luglio sia inadeguata, almeno fino a quando non sarà testata dal mercato. Questa non è fisica, nessuno di noi conosce quale sia il tipping point per la Grecia. Molto dipende dalla fiducia del mercato». Sarà anche così, ma qualche forza, che certamente non è di mercato, lo ha riportato a più miti consigli, visto che ormai un aumento degli haircuts è ampiamente sul tavolo ed è un errore enorme voler escludere a priori un credit event per la Grecia: se si vorrà dar vita a una vera ristrutturazione del debito, con banche e società assicurative obbligate ad accettare tagli obbligazionari maggiori, il default sarà pieno e scatteranno le clausole. Ma, soprattutto, attenti a chi grida alla gogna per la speculazione: sono infatti pochissimi gli hedge funds short sulla Grecia attraverso cds, sono invece moltissimi i trading desk delle banche commerciali! Quindi, attenzione a conseguenze negative a lungo termine sulla domanda di debito sovrano.
Stando a dati ufficiali, l’esposizione netta della Grecia nel sistema è di 2,7 miliardi (ovvero gli open shorts o longs sono pari a 2,7 miliardi di euro), quindi poca cosa rispetto ai 346,4 miliardi di bonds greci in circolo, nemmeno l’1% dell’esposizione del sistema attraverso il mercato dei bonds. Con un taglio del 50%, gli investitori perderanno 165 miliardi di euro, mentre nel mercato dei cds un totale di 1,35 miliardi potrebbe passare dai compratori netti di protezione a venditori netti. Insomma, se l’Ue pensa che il sistema possa sostenere un svalutazione obbligazionaria, una write-off dei cds potrebbe invece essere un qualcosa di molto pesante per il sistema bancario, visto che i loro trading desk sono net short sulla Grecia e non vogliono dover ammettere maggiori esposizioni nette.
Ma al di là della questione cds, che rischia di vedere la Bce premiare chi non va premiato con soldi di tutti, occorre mettere mano al dato degli haircuts obbligazionari. Realisticamente, un taglio del 50% ha poco senso: mettendo in conto i prestatori che non parteciperanno per statuto agli haircuts (Fmi e prestiti bilaterali) e la ricapitalizzazione bancaria che diverrà obbligata in Grecia, un taglio di quella entità abbasserebbe lo stock di debito ellenico solo del 22%. Vediamo le cifre. Su un totale di debiti di 346,4 miliardi di euro, un terzo sono in mani pubbliche (34,8% tra Fmi, Bce e governi europei), circa un altro terzo in mani greche (il 28,8% essenzialmente facente capo alle banche) e il rimanente 36,4% è detenuto da investitori privati non greci.
Come già detto, non tutti questi soggetti possono essere inclusi nel piano di taglio obbligazionario. Non il Fmi, anche se alcune voci parlano della sua partecipazione, la quale però creerebbe un precedente molto pericoloso (gli argentini, ad esempio, si incazzerebbero non poco). Stessa cosa per i prestiti bilaterali, anche se per questi potrebbe esserci qualche possibilità in più di essere inclusi nel piano, rispetto al debito del Fmi. Ancora più al centro di dibattito il debito della Bce, la quale non fa parte del cosiddetto public-sector involvement (Psi), ma agisce su base volontaria, quindi in caso di default coercitivo sarebbe difficile per Francoforte chiamarsi fuori dai tagli. Due le ipotesi in tal senso: primo, la non partecipazione della Bce tout court. Secondo, in caso di partecipazione della Bce, le cifre fanno riferimento a circa 55 miliardi di debito detenuto e acquistato a circa un controvalore di 70 miliardi. Con un taglio del 50%, la perdita per l’Eurotower sarebbe di circa 11 miliardi di euro.
Inoltre, le banche greche sono ovviamente soggette a tagli obbligazionari, il problema è che sono sottocapitalizzate. Attualmente gli istituti ellenici hanno una ratio core tier 1 media di circa l’8%: questo comporta il fatto che i tagli obbligazionari andrebbero a colpire il portafoglio di debito, abbassando il capitale e rendendo necessaria una ricapitalizzazione. Conseguentemente a questo, ogni euro salvato dal governo sul suo debito attraverso la politica di haircuts finirebbe per essere iniettato nelle banche greche. Ovvero, l’equivalente di avere il debito greco detenuto dalla banche greche escluso dai tagli. Insomma, come anticipato, un haircut del 50% porterebbe a una riduzione dello stock di debito greco solo del 22%, al netto della ricapitalizzazione delle banche.
Non basta, visto che conti alla mano, per abbattere del 50% il suo debito, la Grecia dovrebbe implementare il piano fino ad haircuts del 100%, ovvero ripudiare integralmente il suo debito. La pensa così Stephane Deo di Ubs, secondo cui «la Grecia deve ripudiare il suo debito interamente con un haircut del 100% per le banche per garantirsi un minimo di ossigeno e tornare a respirare». Già, la remissione del debito. La stessa ricetta invocata in queste ore da tutti gli indignados del mondo al grido “not our debt”, le stesse istanze difese e capite da banchieri centrali e non, che invece dovrebbero dare risposte rispetto alla solvibilità di quel debito e ai tagli che gli investitori dovranno subire. Un bel cortocircuito, insomma. Ma a che gioco stanno giocando? Ancora una volta ripeto che comincio a non capire più nulla, ma la puzza di bruciato si sente lontano un miglio.
Occhi aperti, non vorrei che la sempre maggiore simpatia globale (debitamente indotta dai media) che attornia indignados di ogni foggia e fattura diventasse l’alibi per lorsignori al fine di far pagare sempre agli stessi i costi della crisi. Azzarderò l’inazzardabile, ma coloro i quali oggi riempiono le piazze per protestare contro le banche, sono proprio i migliori alleati – ancorché per la gran parte, inconsapevoli e in buona fede – di istituti di credito e governi. Godiamoci questi ultimi giorni di balletti politici e falsi rally borsistici basati sulla speranza (e chi visse sperando…), tra poco sarà davvero il caos.