La Fiat è uscita da Confindustria. Il suo amministratore delegato, Sergio Marchionne, ha inviato, ieri, una lettera alla presidenza degli industriali, Emma Marcegaglia, per spiegargli il perché della sua decisione. In sostanza, se la Fiat fosse rimasta all’interno del sindacato degli industriali – che, tra le altre cose, ha il compito di siglare gli accordi con i sindacati – non avrebbe potuto gestire i rapporti con i lavoratori con la flessibilità che voleva. «Con la firma dell’accordo interconfederale del 21 settembre è iniziato un acceso dibattito che, con prese di posizioni contraddittorie e addirittura con volontà di evitare l’applicazione degli accordi nella prassi quotidiana, ha fortemente ridimensionato le aspettative sull’efficacia dell’articolo 8. Si rischia quindi di snaturare l’impianto previsto dalla nuova legge e limitare fortemente la flessibilità generale». Significa che non avrebbe potuto, cioè, applicare interamente l’articolo 8 della manovra finanziaria.
Si tratta di uno delle misure più controverse del provvedimento estivo. Consente che i contratti collettivi nazionali siano derogati da «contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda». In pratica, significa che se il contratto collettivo nazionale impone certi obblighi ed è caratterizzato da certe prerogative che al datore di lavoro non vanno bene, quest’ultimo può decidere di far firmare ai dipendenti un contratto diverso. Che, magari, preveda maggiore flessibilità. Si è tanto dibattuto sul fatto che questa norma prevede di poter licenziare più facilmente. In realtà, le norme per licenziare restano le stesse.
Il fatto è che potrebbe capitare che un lavoratore licenziato ingiustamente non ottenga più il reintegro, ma solamente un risarcimento. La norma, in ogni caso, andrebbe applicata esclusivamente nel caso in cui il nuovo contratto consenta maggiore occupazione, un miglioramento delle condizioni lavorative, l’emersione del lavoro in nero, la possibilità di nuovi investimenti o la risoluzione di emergenze o crisi dell’azienda. E’ il caso della Fiat? Secondo Marchionne si. A Pomigliano e Mirafiori, infatti, ha applicato un contratto separato, che non è stato firmato dalla Cgil ma da tutte le altre rappresentanze sindacali. Prevede il miglioramento delle condizioni retributive, ma anche l’aumento della produttività. In sostanza, si lavora tutti di più, guadagnando di più.
Marchionne propese per questa decisione storica. Non è mai successo, infatti, che la Cgil venisse esclusa dalla contrattazione. Se non avesse fatto così, è sempre stata la sua versione, gli stabilimenti avrebbero dovuto chiudere. Non vi era alternativa. Anche l’uscita da Confindustria è storica. Per decenni Fiat ne ha rappresentato l’anima più profonda. Basta pensare che, in passato, due dei suoi presidenti, Giovanni Agnelli e Luca Cordero di Montezemolo erano, all’epoca, i vertici del Lingotto.