Come anticipato da ilsussidiario.net lo scorso 30 giugno, Standard&Poor’s ha tagliato il rating greco in territorio speculativo a CCC e, soprattutto, ha bocciato il piano francese di roll over del debito ellenico, poiché entrambe le ipotesi si sostanzierebbero in una sorta di ristrutturazione mascherata visto che restituirebbero meno valore agli obbligazionisti di quanto ne avrebbero visto sotto le condizioni iniziali del loro investimento: «È nostra opinione che ciascuna delle due opzioni di finanziamento descritte nella proposta della Fbf probabilmente equivarrebbe a un default in base ai nostri criteri», ha scritto S&P’s nel suo comunicato stampa.
Il perché è presto detto, partendo dall’analisi del piano transalpino. Un’opzione prevede infatti di reinvestire in bond trentennali di nuova emissione a cedola fissa del 5,5% il 90% dei fondi ricevuti da Atene alla scadenza delle obbligazioni attualmente in vigore, l’altra invece abbassa la soglia al 70%. Di questi fondi, il 50% verrebbe destinato all’acquisto di nuovi titoli a 30 anni con cedola fissa al 5,5% e premio indicizzato alla crescita dell’economia greca, il restante 20% verrebbe messo da Atene in uno speciale fondo obbligazionario che farebbe da garanzia contro un eventuale default, una società veicolo (Special purpose vehicle) collateralizzata da bond zero-coupon acquistati tra uno o più emittenti tripla-A sovrani, sovranazionali o europei.
Insomma, per S&P’s è inaccettabile una cedola fissa al 5,5% sul debito trentennale quando il decennale greco viaggia oltre il 17% di yield: il mark-to-market può essere diluito, ma non completamente sacrificato sull’altare dell’emergenza (soprattutto quella delle banche francesi, esposte per 53 miliardi di euro al debito ellenico). Ciò che S&P’s non ha detto è che la proposta francese è nulla più che la riproposizione di quel fallimento clamoroso che fu il cosiddetto Super Siv lanciato il 15 ottobre 2007 da Citigroup, JP Morgan Chase e Bank of America per calmierare gli effetti finanziari della crisi dei subprime.
Nato come Master Liquidity Enhancement Cunduit (Mlec), ma subito ribattezzato Super Siv (Structured Investment Vehicle), il piano si riproponeva di garantire finanziamenti a breve termine ai Siv legati alle banche citate in precedenza per poter continuare la loro operatività nonostante la contrazione del credito e i timori degli investitori per l’esposizione dei Siv ai mutui subprime. Come la storia ci ha dimostrato, quello che veniva spacciato come un salvataggio a finanziamento privato di istituzioni finanziarie che scommettevano sul mercato immobiliare, si tradusse in realtà come nient’altro che un ritardo nella risoluzione alla radice del problema. Nonostante il 19 ottobre anche Wachovia e Fidelity si unirono al progetto, lo stesso fu ingloriosamente abbandonato il 21 dicembre del 2007 poiché definito «non necessario in questo momento».
Come sia terminata la storia, è cosa nota. Ma ad agitare le acque sui mercati, c’è anche il fatto che l’interpretazione della situazione fornita da S&P’s non è sufficiente per far scattare i rimborsi dei credit default swap sul debito greco, poiché si configura come un default selettivo – ristrutturazione parziale del debito – e quindi non come il credit event necessario per ottemperare alla clausola del contratto. L’ultima parola al riguardo, però, non tocca alla società di rating, ma all’International Swaps and Derivates Association, associazione internazionale che supervisiona il mercato dei derivati: se questa certificherà il default, la palla passerà alla società specializzata in swap Markit, chiamata all’indizione di un’asta per determinare quanto valore è stato perso con il crack e valutare la corresponsione spettante ai possessori di cds.
Chi ha le idee molto chiare su quanto sta accadendo è Sir Howard Davies, ex direttore della London School of Economics ed ex numero uno della Fsa britannica, secondo cui «stiamo ballando sulla capocchia di uno spillo, visto che pretendiamo che il default non sia un default, ma sappiamo benissimo che al momento nessuno presterebbe nulla alla Grecia sul libero mercato».
Già. Ma a preoccupare c’è anche altro. In primis, le parole pronunciato dal capo dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, al settimanale tedesco Focus: «La sovranità della Grecia sarà massicciamente limitata». Evviva, il piano per un nuovo ordine europeo prosegue a tappe forzate e con grande efficacia! Tutti i tasselli combaciano: prima la nomina di Christine Lagarde a capo del Fmi, poi dopo due giorni – guarda caso – quei geni dei giudici newyorchesi si accorgono di quanto ilsussidiario.net ha sostenuto fin dall’inizio, ovvero che quello contro Dominque Strauss-Kahn era un complotto.
Troppo scomode le sue affermazioni sul dollaro come moneta ormai non più in grado di essere riserva globale, troppo dura la posizione nei confronti di quello scandalo planetario che è il raggiungimento del tetto d’indebitamento degli Usa: andava fatto fuori e pagare una prostituta per incastrare un qualcuno che si sa essere un erotomane è uno dei trucchi più vecchi al mondo. Scagionato sì, ma fuori tempo massimo per riprendersi il Fmi e forse anche per le primarie del Partito socialista francese per le presidenziali: timing perfetto.
Ora, poi, l’ammissione europea: Atene è, di fatto, commissariata da Bruxelles e dovrebbe utilizzare un escamotage simile all’agenzia Treuhand, utilizzata dalla Germania per svendere circa 14mila aziende dell’ex Ddr tra il 1990 e il 1994 (lasciate perdere che essa non generò alcun profitto ma solo disoccupazione e chiuse i suoi libri in deficit, altrimenti il povero Juncker si offende). Parole chiare e nette, senza più vergogna o necessità di nascondere le reali intenzioni che stanno dietro il processo di presunto salvataggio della Grecia (leggi delle banche tedesche e francesi): ciò che deve restare ancora per un po’ all’oscuro dell’opinione pubblica è invece il fatto che per la prima volta la Commissione Ue sta discutendo riguardo una possibile ristrutturazione del debito greco che potrebbe includere tagli dei rendimenti obbligazionari del 40%, insomma un bel bagnetto di sangue per tanti istituti, ellenici in testa che dovrebbero essere di fatto nazionalizzati e ciò trasferiti sotto la tutela diretta della Bce, stante i prestiti europei verso il governo Papandreou.
Perché serve riservatezza a riguardo? Per far agire in fretta e nell’ombra i banchieri, i quali consci che da qui a pochi mesi la sciarada sarà terminata e si dovrà probabilmente pagare un prezzo salato all’avventurismo passato, si lanceranno in uno shopping selvaggio di tutto ciò che di profittevole ancora esiste in Grecia, con il beneplacito dell’Ue che ha imposto il piano di privatizzazioni come conditio sine qua non per la quinta tranche del prestito e la garanzia dell’Eurogruppo in fatto di ricatto verso il governo ellenico: sovranità limitata significa limitata possibilità di porre il veto e dire no alle scalate ostili, infatti. Tutto torna, cari lettori.