Si spande, dai Monti, un effluvio liberalizzante, potrebbe dirsi, che si insinua un po’ ovunque. Forse è la volta buona. Non c’è settore poco aperto al mercato che il governo non intenda forzare. Comprese le banche. Che, a onor del vero, non sembrano affette da eccessiva sorveglianza. Ma c’è una pratica che è particolarmente invisa all’esecutivo: quella in base alla quale un istituto di credito o un intermediario finanziario, ai fini della stipula di un contratto di mutuo, obbligano il cliente a sottoscrivere una polizza assicurativa erogata dall’istituto o dall’intermediario stessi. «Effettivamente, è una pratica poco sana e alquanto scorretta», afferma, raggiunto da ilSussidiario.net Marco Di Antonio, professore di Economia presso l’Università di Genova. «Mi pare, tuttavia – aggiunge -, che il problema sia l’opposto: le banche sono da regolamentare, non da liberalizzare. Tra i problemi principali della crisi vi è, infatti, l’eccessiva deregulation degli istituti bancari. Cui si è giunti, ad esempio, togliendo l’antico vincolo di liquidità». Il dibattito, adesso, è quindi relativo all’ipotesi di acuire la regolamentazione. «Ovviamente, elevarne i coefficienti patrimoniali deve essere fatto senza soffocare l’imprenditorialità e senza tornare a politiche dirigiste. In America – del resto, nei paesi anglosassoni, la questione è molto più sentita – verte addirittura sulla separazione tra commercial banking e investment banking o sul divieto per gli istituti bancari commerciali di effettuare operazioni in titoli».
Oltre alla ri-regulation, ci sono altri fronti sui quali, casomai, intervenire: «Sono quelli della trasparenza e della correttezza nei confronti della clientela – tasti sui quali continua a battere la Consob -, o i conflitti di interesse delle banche che vendono ai clienti i propri titoli». Resta da capire se, nell’ambito dell’introduzione di nuove regole, sia contemplabile un calmieramento dei tassi di interesse. «Il controllo dei prezzi mi lascia sempre molto perplesso – spiega Di Antonio -. Si tratterebbe di un’operazione dirigistica ed estremamente invasiva che ci farebbe tornare indietro di diversi anni. Occorre, invece, operare sulle condizioni affinché, con un occhio di riguardo alla stabilità, si liberi un sano gioco concorrenziale». Di recente, tuttavia, lo Stato ha dato copertura pressoché assoluta alle obbligazioni emesse dalle banche. Di certo, le banche sono organiche al sistema; se crollano loro crolla il Paese. Sta di fatto che, in molti fanno presente che avrebbe dovuto chiedere qualcosa in cambio. «La merce di scambio deve essere la regulation. Coerentemente con la centralità del sistema bancario, la contropartita di tale tutela dovrebbe essere il poter porre delle regole». È quello che fa la Banca centrale europea. «La Bce salva le banche, le rifinanzia. E, in cambio, regolamenta».
A proposito: che fine hanno fatto i 116 miliardi di euro erogati dalla Bce alle banche italiane finalizzati, teoricamente, alla concessione di credito agevolato per imprese e famiglie? «Con ogni probabilità – afferma – sono, per lo più, depositati presso la Bce. Sono in fase di attesa. Le banche hanno grandi problemi di liquidità, e potrebbero usarli sostituendo le obbligazioni in scadenza – ammontanti, più o meno, a quella cifra, – se il mercato non dovesse rinnovarle. L’auspicio è che vengano destinati all’economia. Ma l’operazione, prevalentemente, è stata fatta per salvare la liquidità per le banche». Ricapitolando, «mettiamola così: se il mercato non rinnova le obbligazioni in scadenza delle banche europee, le banche rischiano di collassare. A quel punto, sì che il credito alle imprese è messo a rischio».
(Paolo Nessi)