Dunque, dove eravamo rimasti? Ah già, l’Eurogruppo di ieri sera, quello che doveva sbloccare il secondo piano di aiuti alla Grecia. Non c’è stato. L’hanno tramutato in una teleconferenza perché, stando alle dichiarazioni del presidente Jean-Claude Juncker, mancavano alcuni dettagli con la troika. Traduzione dal politichese: non abbiamo uno straccio di accordo, né di idea per come uscire da questo casino. Quindi ci facciamo una bella telefonata, parliamo del più e del meno, del Barcellona che strapazza il Bayer Leverkusen e poi facciamo emettere un bel comunicato pieno di parole come “sintesi”, “accordo di massima”, “implementazione”, “rigore” e altri vocaboli che piacciono tanto ai media mainstream.
In compenso, una novità sul fronte greco c’è stata ieri e anche positiva: «L’accordo tra lo Stato greco e i creditori privati è stato fatto, ma non sta a una banca commerciale rivelarne i dettagli», queste le illuminanti parole dell’Amministratore delegato del gruppo bancario francese Bnp Paribas, Jean-Laurent Bonnafè, durante la presentazione dei risultati annuali. E allora perché non tieni la bocca chiusa? Sembra uno di quei bambini insopportabili che gode per la logica dell’io lo so, ma non te lo dico: siamo veramente alla frutta, cari lettori. In compenso le Borse hanno corso come locomotive impazzite ieri mattina: segnale forse che chi sta nelle sale trading sa cose che noi umani ignoriamo?
No, a mettere il turbo ai listini sono state le seguenti parole, pronunciate dal governatore della banca centrale cinese, Zhou Xiaochuan: «La Cina continuerà a investire nel debito pubblico dell’eurozona. Pechino conferma la sua fiducia nell’euro e nella capacità dei membri dell’eurozona di risolvere i loro problemi di debito». Le rassicurazioni di Zhou e di altri autorevoli leader cinesi sono giunte poco dopo la visita del presidente del Consiglio europeo, Herman van Rompuy, e di quello della Commissione, José Manuel Barroso, per il summit Cina-Ue, quindi difficilmente ci saremmo potuti aspettare toni diversi dal melenso, anche soltanto per una questione di educazione e protocollo. È la quinta volta in un anno che la Cina si propone come salvatore dell’eurozona, salvo limitarsi ad acquisizioni mirate di assets e utilities in Grecia e Portogallo a prezzi di gran saldo. Va beh, poco male, in tempi di magra anche la prospettiva di tramutarsi negli Stati Uniti, ovvero in un Paese retto dalle detenzioni di debito da parte della Cina, fa felici gli investitori. Contenti loro.
Ma al di là delle parole, ci sono le cifre. E più che le sforbiciate a orologeria delle agenzie di rating, a far traballare l’intera costruzione europea ci ha pensato proprio la forza dei numeri. Se infatti il downgrade di Moody’s di alcuni paesi europei, tra cui Italia, Spagna e Portogallo, ha lasciato completamente indifferenti i mercati, rinvigoriti anzi nella mattinata di martedì dalle buone aste obbligazionarie di Roma e Madrid (tanto che Goldman Sachs ha tolto i Btp dalla sua lista “buy”, poiché i rendimenti li rendono ora meno attraenti dei titoli francesi) e dalla performance dell’indice Zew in Germania, una messe di dati macro da incubo ha rispedito tutti con i piedi per terra.
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Dalle sale trading la versione è univoca: i mercati hanno già prezzato tutto, dai downgrade fino al default greco e ora navigano a vista perché non trovano un floor, ovvero un punto di caduta massimo dal quale poi poter soltanto risalire. E questo, fanno notare, è grandemente ascrivibile all’inazione politica delle autorità europee, capaci di annunciare e annullare un Eurogruppo vitale per il salvataggio greco come se stessimo parlando di una partita a scopa tra amici. Di certo, invece, su Atene c’è dell’altro. Nel quarto trimestre il Pil greco ha infatti subito una caduta del 7%, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno: la portata della contrazione è tornata a peggiorare rispetto al -5% annuo registrato nel secondo trimestre. Le serie storiche mostrano che la Grecia è intrappolata in una recessione economica che prosegue fin dall’ultimo trimestre del 2008.
Ecco a voi, signori miei, gli effetti della cura di austerity della troika! Ma si sa, la Germania e i suoi alleati del Nord hanno ottenuto ciò che volevano, ovvero prendere tempo affinché le loro banche potessero scaricare a sconto le obbligazioni elleniche, soprattutto con scadenza marzo e maggio 2012 a fondi speculativi e gonzi in cerca del colpaccio con cui pagarsi le vacanze estive. Ce l’hanno fatta: a oggi, i creditori privati riuniti nell’Iif hanno in mano meno del 40% dei 206 miliardi di debito da ristrutturare. Quindi, l’Amministratore delegato di Bnp Paribas dovrebbe dirci chi ha siglato l’accordo sullo swap e in nome di chi, più che i contenuti. Ormai un default di Atene con relativa uscita dall’eurozona non fa più paura al nucleo forte dell’Ue, basti pensare alle parole pronunciate ieri dal ministro degli Esteri lussemburghese, Luc Frieden: «Se il popolo o l’elite greche non applicheranno tutte le condizioni poste, penso che si escludano dall’eurozona. L’impatto per le altre nazioni, ora, sarebbe molto meno traumatico di un anno fa. Il ritorno alla dracma? Potrebbe essere un qualcosa in grado di offrire alla Grecia una nuova partenza, per creare economia e lavoro». Insomma, per Germania, Lussemburgo, Olanda e Finlandia, la Grecia può andarsene quando vuole.
E cominciano a rendersene conto anche i greci, vista la veemente reazione del deputato del partito di destra Laos, Kostas Kiltdis, secondo cui «alla guerra si risponde con la guerra. Noi siamo la culla della civiltà europea e nessuno può sbatterci fuori di casa. Non esiste un meccanismo legale per questo. Provino a farlo e altri moriranno economicamente insieme a noi». Benvenuti nell’Ue, patria della solidarietà e della fratellanza! Ma, si sa, la verità alla fine salta sempre fuori e nel primo pomeriggio, fonti comunitarie, rendevano noto che «i ministri delle Finanze starebbero considerando il ritardo di parte o tutto il salvataggio greco, pur evitando sempre il default». Ovvero, default controllato! Detto fatto, l’isteria da “buy the rumors, sell the news” innescata dall’impegno cinese per l’Ue ha lasciato spazio alla realtà, facendo rallentare le Borse (Milano è passata dal +1,8% al +0,76%) e spedendo l’euro di colpo sotto quota 1,3070. E a conferma che ormai la bancarotta è il destino che attende Atene, negli stessi minuti il bond greco a due anni sfondava quota 200% di rendimento per la prima volta in assoluto. Bye bye, Grecia.
Ma se ne andrà da sola? Altrettanto preoccupante, se non maggiormente, è infatti il dato che vede il debito delle banche spagnole verso la Bce a un nuovo record storico di 133,18 miliardi di euro, stando ai dati diffusi dalla Banca di Spagna. L’aumento rispetto a dicembre (118,8 miliardi) è stato del 12%: il credito richiesto dalle banche spagnole è stato del 148,2% superiore a quello di gennaio 2011. Gli istituti iberici assorbono il 37,45% dei prestiti Bce al settore bancario europeo, mentre l’economia spagnola “pesa” per il 13% dell’eurozona: il nuovo record, quindi, conferma sia le difficoltà delle banche spagnole a finanziarsi sul mercato interbancario, sia la pericolosa deriva greca rispetto al ritiro dai depositi bancari da parte di cittadini e aziende spaventati dalla crisi.
Non va meglio, poi, al Portogallo, che resta intrappolato nella recessione economica: nel quarto trimestre il Pil ha subito una contrazione dell’1,3% rispetto ai tre mesi precedenti, secondo l’Ente di statistica nazionale, e del 2,4% rispetto allo stesso periodo di un anno prima: in questo modo l’insieme del 2011 si è chiuso con una recessione economica dell’1,5% in termini di Pil. E a confermare i timori dei mercati, ci pensa anche la locomotiva Germania. Se, infatti, nel mese di febbraio l’indice Zew che misura le aspettative sull’economia tedesca è salito a un “cinese” +5,4 da -21,6 di gennaio, l’Ocse ha certificato che «dopo una ripresa rapida e robusta dalla profonda recessione, in Germania la crescita ha rallentato e l’outlook si è considerevolmente indebolito». Secondo le stime dell’organizzazione, anticipate dal ministero dell’Economia di Berlino, il Pil della Germania crescerà nelv2012 solo dello 0,4%, dopo il 3% del 2011.
Infine, l’Italia. Il nostro Paese, infatti, è fra i 12 dell’Ue che preoccupano la Commissione europea per i loro “squilibri macroeconomici”, secondo un rapporto presentato ieri a Strasburgo dal commissario agli Affari economici e monetari, Olli Rehn. Annunciando «un’analisi approfondita nel quadro del nuovo “meccanismo di allerta macroeconomica”», quindi a rischio sanzionatorio in caso il Paese non adotti le raccomandazioni preventive (leggi possibili manovre correttive o provvedimenti legislativi imposti da Bruxelles), Rehn ha sottolineato «l’altissimo debito pubblico e il basso potenziale di crescita economica, che rappresentano dei rischi che dobbiamo analizzare». Inoltre, il Commissario ha ricordato che c’è un problema di competitività, sia in generale che basata sui prezzi, con «un deterioramento significativo a partire dagli anni ‘90, che si riflette nel persistente indebolimento nelle quote di mercato nel commercio estero, con una caduta del 20% dell’export negli ultimi cinque anni».
Insomma, se le bocciature di Moody’s sono ormai acqua fresca per mercati abituati a scossoni ben più seri, le preoccupazioni per l’eurozona nel suo complesso sono tutt’altro che dietro le spalle. Ma tranquilli, cari lettori, c’è chi coordina gli sforzi per uscire da questa impasse e ci offre risposte importanti. Ad esempio, sapevate che durante le partite dei mondiali di calcio del 2010, i volumi di scambio sull’indice londinese FTSE 100 erano più bassi del 32% rispetto alla media? E sapevate, però, che quando giocava l’Inghilterra il calo è stato solo del 26,5%? E sapevate che, a dispetto della loro proverbiale serietà sul lavoro, i traders tedeschi sono stati i più fannulloni d’Europa, con un calo del trading sul Dax del 60% quando la nazionale teutonica era in campo? Direte voi: Bottarelli è impazzito. E ancora: no, non lo so ma nemmeno mi interessa saperlo. Risposta esatta, la seconda. Il problema è che questa statistica da Almanacco del gioco del calcio applicato alla finanza non è frutto della perversione numerologica del “Rain man” di turno, ma della Bce, la quale lunedì ha presentato lo studio “The pitch rather than the pit: investor inattention during Fifa World Cup matches”, frutto di un anno di lavoro coordinato da Michael Ehrmann e David-Jan Jansen.
Degno della rubrica “Mai più senza” del compianto Cuore di Michele Serra, questo report utilizza 35 pagine di dati e rilevazioni per giungere alla seguente conclusione: «La Coppa del mondo di calcio ha cambiato il processo di formazione dei prezzi. Possiamo concludere che il mercato azionario ha guardato con maggiore interesse al terreno di gioco che al trading». Conoscendo l’uomo, siamo certi che il primo a mettersi le mani nei capelli alla scoperta della pubblicazione sia stato proprio Mario Draghi, incolpevole committente di questo utilissimo strumento di lavoro, poiché all’epoca della sua gestazione era ancora a capo di Bankitalia. Resta però il fatto che l’Eurotower abbia sprecato soldi e tempo preziosi per dirci che i traders cileni sono stati i più fannulloni quando giocava la loro nazionale, con un calo degli scambi del 99,5%, piuttosto che cercare ricette per evitare il credit crunch per famiglie e imprese.
Certo, meglio spendere il proprio tempo in esercizi di stile simili che per pratiche suicide come il rialzo dei tassi deciso lo scorso luglio dal mai compianto Jean-Claude Trichet, ma resta il fatto che sapere come nei cinque minuti successivi a un goal, l’attività media perdesse un ulteriore 5%, non regala a investitori e cittadini particolare sollievo. E nemmeno rafforza la loro fiducia nell’Eurotower. Siamo alla frutta, amici miei.