Il cane di Pavlov colpisce ancora. È bastato che Mario Draghi parlasse di situazione migliorata sui mercati e di decoupling tra banche e debito sovrano per fare in modo che le Borse attivassero il turbo e veleggiassero su livelli da “toro”. Non si sa quali dati abbia in mano il governatore della Bce, ma di certo non sono quelli che, quotidianamente, escono dalle varie istituzioni europee: Eurostat, banche centrali, Ocse, Bei, Bce stessa e quant’altro. Insomma, ottimismo di facciata cui qualcuno piace credere: facciano pure, esattamente come tutti quelli che parlano di Europa comunque forte e solida visto il valore dell’euro sui mercati valutari.
Sapete perché la moneta unica è forte, infatti? Rimpatrio forzato di assets dall’estero da parte delle banche europee e acquisti esteri di debito sovrano (come si vede dai grafici più in basso), strumentali a mantenere l’euro forte rispetto alle altre valute favorendo l’export dei paesi concorrenti.
Non è la prima volta che succede, già lo scorso ottobre, a causa dell’aggressiva politica di rimpatrio, la Fed fu costretta ad allentare i termini delle sue linee di swap, la Bce fu obbligata ad annunciare le due aste Ltro e la Cina l’ennesimo aumento dei tassi d’interesse: insomma, le banche centrali si unirono in modalità bailout. Non a caso, poi, la debolezza dell’euro nel quarto trimestre del 2011 è perfettamente correlabile alla vendita in grande scala di assets legati al debito europeo, mentre nella prima metà dello scorso anno la politica di acquisto di debito Ue dall’estero aveva garantito un rafforzamento della moneta unica. Insomma, i drivers di rafforzamento e indebolimento dell’euro non solo legati alla stabilità dell’Europa, ma alla percezione che di essa hanno i mercati esteri e la convenienza degli stessi ad alterare in maniera più o meno drastica gli andamenti forex.
Qualche numero per capire che di sano in Europa c’è proprio poco? Pronti, ce lo offre il grande malato che secondo le istituzioni è stato salvato grazie allo swap: la Grecia. L’Ufficio di statistica greco due giorni fa ci ha confermato che la ratio debito/Pil del Paese è attualmente del 165,3%, un bel 14% in più rispetto allo scorso anno: alla faccia della troika e delle sue misure di austerity, poste in essere per raggiungere quota 120%! Il tasso di disoccupazione è al 21,8%, il Paese è entrato nel suo quinto anno di recessione e le previsioni di contrazione economica per quest’anno variano dal -4,5% al -6,9%: la stessa Banca centrale reca, in un sussulto di realismo, ha cambiato la sua stima da -4,5% a -5%, correzione incorsa nell’arco di sole due settimane!
Di più, il 6 maggio prossimo il Paese andrà alle urne e, al netto delle promesse dei politici, se vuole ottenere la prossima tranche di aiuti del Fmi dovrà tagliare la spesa di un altro 5,5% del Pil, ovvero circa 14 miliardi di euro, più altri 4 miliardi da raccogliere attraverso la tassazione. Ma la Grecia è salva! Talmente salva che le banche elleniche perdono 344 milioni di dollari al giorno e hanno outflows di capitale di 500 milioni al mese, fate voi due conti e vedrete a quanto possano servire i 32,2 miliardi di euro di fondi per la ricapitalizzazione stanziati nel quadro del piano di salvataggio.
In compenso, c’è una classifica in cui i greci eccellono davvero: nel 2010, in piena crisi economica, gli uomini greci sono stati quelli che, in proporzione alla popolazione, hanno fatto più ricorso alla chirurgia estetica per l’allungamento del pene, in base alle statistiche rese note dalla International Society of Aesthetic Plastic Surgery. Non sto scherzando, sulle popolazioni di 25 paesi nel mondo prese a campione, i greci sono secondi in assoluto, preceduti solo dai sud-coreani per ricorso alla chirurgia plastica: ma a differenza degli ellenici, gli asiatici invece di intervenire sul pene hanno preferito farlo sugli occhi, per sembrare più occidentali. Questa è l’Europa, amici miei. Capite quindi perché, negli ultimi sei mesi e nel silenzio generale dei media, la Germania ha preso le seguenti decisioni politiche: ha approvato una legislazione che le permette di abbandonare l’euro pur restando nell’eurozona e riattivato il Fondo speciale di stabilizzazione dei mercati, meglio conosciuto come Soffin.
E quali sono le caratteristiche di questo fondo? Garanzie per 400 miliardi di euro per le banche tedesche, 80 miliardi di euro per ricapitalizzare gli istituti che ne avessero bisogno ma, soprattutto, una legislazione speciale che permette alle banche tedesche di scaricare TUTTE le loro detenzioni di bond governativi dell’eurozona, se ne avessero necessità. Eh sì, avete letto bene. In parole povere, la Germania ha innalzato un firewall di 480 miliardi di euro a difesa delle sue banche – il fondo Esm, che dovrebbe difendere l’intera eurozona è di soli 500 miliardi, di cu 190 messi dalla Germania, per ora solo sulla carta – garantendo loro la possibilità di scaricare dai bilanci le obbligazioni sovrane, le quali verrebbero acquistate dal fondo Soffin e parcheggiate. Prodromi di un’uscita della Germania dall’euro? No, solo una chiara minaccia nei confronti dei partner in caso continuassero a premere sulla Bce per attuare politiche espansive, leggi salvataggi back-door come il programma Target2 o una terza asta Ltro: si sa, in Germania vince politicamente chi si mostra più duro nei confronti dei cosiddetti Piigs e la Merkel ha un disperato bisogno di popolarità, oltre che di recuperare un rapporto con i falchi della Bundesbank.
Lo ripeto, siamo ormai al punto di non ritorno: non importa se sarà l’implosione della Spagna o l’addio della Germania, l’attuale Ue non regge in questa forma e quindi dovrà cambiare. Spagna e Italia sono problemi troppo grandi da risolvere, non esistono né fondi, né entità sufficientemente potenti per riuscire a gestire la situazione. Qualche esempio? Ne bastano due, a mio avviso.
Primo, ieri la Germania è riuscita a collocare Bund trentennali con scadenza luglio 2044 solo per 2,405 miliardi di euro contro i 3 miliardi di importo massimo prefissato (595 milioni di euro gli acquisti solo della Bundesbank, tanto per capirci), una volta che il rendimento medio offerto ha toccato il minimo storico del 2,41%. La domanda, inoltre, ha raggiunto solo i 2,75 miliardi. Direte voi, meglio così, lo spread Btp-Bund sarà crollato: no, rimasto placidamente in area 390. Secondo, nelle sale trading si comincia a guardare sempre meno al differenziale tra i nostri titoli di Stato e quelli tedeschi e ci si concentra sempre di più sullo spread tra Btp e Bonos spagnoli, in perenne restringimento da un settimana a questa parte, con le nostre obbligazioni pericolosamente underperforming rispetto a quelle iberiche: in 5 giorni di contrattazioni, si è passati da uno spread di 50 punti base ai 17 di ieri.
Un enorme short squeeze? Probabile, ma è una dinamica già vista la scorsa estate: attenzione, l’Italia sta tornando nei radar. Con buona pace di Mario Draghi, Mario Monti e della Borsa di Pavlov.