La Grecia è andata: bye bye, è stato bello. Non lo dico da oggi, lo ripeto da mesi, ma ora sono le cifre a parlare, più che le aperture sempre più palesi verso l’addio avanzate con realismo e onestà da Christine Lagarde, capo del Fmi. Ricordate lo straordinario swap greco, quello che aveva messo in sicurezza il debito ed evitato di fatto il default? Bene, i nuovi bond ellenici a lungo termine sapete a quanto vengono trattati? 13,75 centesimi sull’euro, minimo assoluto dallo swap (-43%) e un bel -27% in sole due settimane e un rendimento già tornato in area 28%! Sapete cosa vuol dire questo? Bancarotta.



Ma c’è di più, visto che martedì Atene ha reso noto che pagherà i 435 milioni di euro di bonds sotto legislazione internazionale scaduti il 15 maggio, creando un chiaro precedente: ovvero, chi ha acquisito obbligazioni elleniche che non facessero capo alla legislazione di quel Paese e ha detto no allo swap, è stato ripagato in pieno, il 135% di rendimento annualizzato, a fronte dell’haircut del 75% subito da chi ha detto sì al concambio. Come pensate che si muoveranno gli investitori in caso di swap da parte del Portogallo o della Spagna? E, soprattutto, pensate che i vulture fund come Dart, principale beneficiario della scadenza obbligazionaria di due giorni fa, non si lancerà in massa ad acquistare titoli di Stato portoghesi, spagnoli e italiani sotto legislazione britannica? Magari magari, dare una controllatina tra Tesoro e Consob sarebbe intelligente, voi che dite?



Altri dati dall’inferno: dal 7 maggio al 15 maggio sono stati prelevati dai conti correnti greci 700 milioni di euro, dato confermato dal Presidente della Repubblica nel corso delle consultazioni con i partiti. Insomma, è fallita o no la Grecia? Ancora non vi basta? Allora qualche altro numero sui costi di quello che ormai nelle sale trading viene chiamato “Grexit”, dalla contrazione di Greece ed exit, dopo quelli che vi ho fornito martedì, sintomo che ormai i centri studi non lavorano più sul prezzo del salvataggio, ma su quello dell’addio.

Questa tabella è stata preparata da Eric Dor della Ieseg School of Management di Lille e mette insieme, voce per voce, i costi immediati di un addio greco all’Ue per Germania e Francia, partendo dall’assunto di un’uscita non ordinata dall’eurozona e di una svalutazione della nuova dracma del 50%. Come potete vedere da soli, le perdite che andrebbe a subire la Francia sarebbero pari a 66,4 miliardi, mentre per la Germania l’aperitivo costerebbe 89,8 miliardi. A questo dato vanno unite perdite di 19,8 miliardi per le banche greche e di 4,5 miliardi per quelle tedesche (le quali sono state più furbe e hanno approfittato dei due anni persi grazie alla Merkel per scaricare il più possibile debito greco dai bilanci), dovute appunto alla svalutazione della nuova valuta.



Una gran bella legnata, soprattutto in un contesto di crescita zero per l’eurozona e di una Germania che vede il Pil salire di mezzo punto grazie all’export, dato destinato a crollare però se l’Europa sprofonderà ancora di più in recessione, essendo l’Ue la destinazione del 50% delle esportazioni teutoniche. Usa e Cina staranno a guardare, secondo voi? Permetteranno uno slump simile per l’economia globale, essendo l’eurozona il primo mercato del mondo? Io penso che la Grecia sia fallita e che uscirà dall’euro, ma penso anche che a gestire la cosa sarà il Fondo monetario internazionale, anche con sonanti aiuti in denaro. Il contagio greco all’eurozona, infatti, riguarda qualcosa come 15 triliardi di debito pubblico e privato e 27 triliardi di esposizione bancaria a esso collegato: un altro errore dell’Europa nella gestione del caso greco e sarà depressione globale, non recessione.

Che fare, quindi? Trasformare la Bce in prestatore di ultima istanza, togliendo il problema dei debiti sovrani dal tavolo cui stanno abbuffandosi i mercati oppure decidere una condivisione del debito e un’unione fiscale, con tasse e budget pianificato in sede europea e un governo dell’Unione più forte che sia controparte di una Bce in stile Fed. La Germania non ci starà mai? È vero, peccato che sia in gran parte colpa di Germania e Francia se siamo arrivati a questo punto, visto che tre anni fa la questione greca si sarebbe potuta chiudere con 140 miliardi di euro, se non si fosse messo in testa alla lista delle priorità l’interesse immediato delle banche tedesche e francesi. Inoltre, il dato del Pil parla chiaro: nel primo trimestre, solo la Germania è cresciuta nell’eurozona. Servono altri motivi per far capire a Berlino che il paraocchi del rigore ci ha portati sull’orlo del precipizio e ora non abbiamo più spazio di manovra?

Non abbiamo scelta, purtroppo o per fortuna, dipende quale sia il vostro grado di europeismo: da soli gli Stati non escono da questa situazione di dittatura finanziaria resa possibile da debiti allegri e scelte politiche folli. E, paradossalmente, i mercati stanno già muovendosi oltre, prezzando come scontato il Grexit. Chi sta muovendosi a grandi passi verso la linea Maginot che, se varcata, porta alla spirale ellenica è infatti la Spagna, la quale potrebbe subire un significativo aumento dei margini per la detenzione del suo debito da parte della clearing house LCH già nelle prossime ore, visto che in passato questo provvedimento è scattato non appena il debito sovrano di un Paese ha toccato quota di spread 450 punti base nei confronti del debito di un Paese con rating AAA. Accadde al Portogallo, il quale da 450 accelerò rapidamente verso quota 800, raggiunta in meno di tre mesi: e con la ratio cash/collaterale ai minimi e lo spread Bund-Bonos che ieri ha sfondato quota 500, un aumento dei margini potrebbe essere tanto fatale quanto ormai scontato per Madrid.

Ne sa qualcosa il premier iberico, Mariano Rajoy, il quale ieri ha detto chiaro e tondo che «la Spagna corre il rischio di non avere più accesso ai mercati per finanziarsi. Al momento c’è un rischio concreto di essere tagliati fuori dai mercati, oppure dover pagare tassi astronomici», ha detto il premier al Parlamento di Madrid. «Tutte le misure che stiamo prendendo sono necessarie per uscire dal tunnel», ha concluso Rajoy. Un tunnel dentro il quale, però la Spagna sembra già intrappolata, visto che ieri il rendimento dei Bonos era al 6,49% contro meno del 5% che pagavano solo a marzo.

La crisi dell’eurozona, insomma, è in assoluta accelerazione. In compenso, all’Ecofin si è parlato di Basilea 3: vi sembra utile parlare di regolamentazione bancaria, quando rischiamo di veder fallire metà degli istituti di credito se non ci diamo una mossa?

 

P.S.: Come mai le Borse ieri, nonostante la messe di disgrazie che giungevano dall’Europa, si sono riprese? Nel primo pomeriggio nelle sale trading è cominciato a circolare un report nel quale si dava per certo e imminente l’annuncio di una terza asta Ltro e la riattivazione, dopo nove settimane di fermo, del programma Smp di acquisti sul mercato secondario da parte della Bce. Sarà vero? Io non lo escludo. Quanto possa servire, è un altro discorso.

Leggi anche

SPY FINANZA/ Grecia, il falso risanamento che fa tremare anche l'ItaliaSPY FINANZA/ Il "salvataggio" dell'euro che ha distrutto un popoloEURO AL BIVIO/ Fortis: l'Italia non deve temere gli effetti di una Grexit