Le regole europee impongono che il rapporto tra deficit e Pil si attesti sotto il 3%. E’ quanto il governo si è impegnato a garantire. Ci sta riuscendo, grazie ai sacrifici degli italiani e al persistere dell’economia in una fase recessiva. Le stesse regole europee, tuttavia, prevedono una deroga. Nel cosiddetto “Six-pack”, un pacchetto legislativo adottato dal Parlamento europeo nel settembre 2011, volto a introdurre una disciplina più rigorosa in materia di bilancio, è contenuta una raccomandazione a cui potremmo appellarci per scongiurare l’imminente aumento dell’Iva (Monti ieri ha infatti spiegato di poterlo al momento scongiurare solo fino a giugno). Il nuovo regolamento consente, infatti, di sanzionare i Paesi per i quali si è aperta una procedura d’infrazione solo quando siano riusciti a riportare il deficit/Pil sotto il 3%. Gianluigi Bizioli, docente di Diritto tributario e tassazione europea presso l’Università di Bergamo spiega a ilSussidiario.net perché, purtroppo, le cose non sono così semplici. «La nostra preoccupazione principale consiste nel dover dimostrare di essere credibili nel collocamento dei nostri titoli di stato sui mercati internazionali; si tratta, come è noto, del problema dello spread». Eppure, pensavamo che l’operazione della Bce l’avesse risolto. «Finora, ci siamo salvati perché Draghi ha permesso l’acquisto illimitato di titoli di Stato già presenti sul mercato. Ma se l’operazione è possibile solo per quelli già presenti sul mercato, i nuovi titoli non sono garantiti». Quindi: «Se questi ultimi vengono collocati in una situazione in cui non siamo credibili sul fronte del pareggio di bilancio, siamo da capo, e il gioco della speculazione riprende».



C’è un secondo grave problema. «La crisi di cui soffre il Paese, ormai, non è più solo finanziaria, ma ha contagiato l’economia reale. Aumentare l’Iva, quindi, effettivamente, produrrà effetti estremamente negativi». Ecco perché:  «La bilancia commerciale è in forte surplus. Le nostre imprese riescono a esportare, ma i mercati interni sono completamente fermi. La domanda internazionale è significativa, ma la nostra economia soffre la contrazione di determinati beni e consumi. Di conseguenza, a far ripartire l’economia dovrebbe essere il consumatore finale». L’aumento dell’Iva si riflette proprio su di lui. «E, di conseguenza, risolvendo il problema del deficit si aggrava l’economia». Qualunque strada porta a un vicolo cieco. «Il governo ha deciso di privilegiare il rigore, per tranquillizzare i mercati, rispetto alla crescita; che, d’altro canto, non si potrebbe realizzare senza sforare le regole sul deficit». In realtà, ci sarebbe una terza via. «Si potrebbe spostare il prelievo tributario su forme diverse di imposizione. Occorrerebbe, cioè, defiscalizzare il lavoro, dato che le imprese soffrono di mancanza di competitività e spostarle su una forma di aggravio delle imposizione patrimoniale. Ma un governo sotto elezioni non lo consentirà mai». 



Alcune misure, invece, potrebbero essere implementata fin da subito senza il timore di ripercussioni: «Con le dismissioni e le valorizzazioni del patrimonio pubblico, e con un serio taglio dei costi della politica, sarebbe possibile abbassare il debito. Questo non ridurrebbe deficit, ma ci consentirebbe di permettercene uno più alto. Con un debito significativamente inferiore, infatti, si ridurrebbe la cifra da reperire per rifinanziarlo».

 

(Paolo Nessi)

 

 

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