Ogni volta che compaiono nuovi dati, nuovi ragguagli economici, si resta quasi con il fiato sospeso. E ci si sorprende per la tenacia e la tenuta delle famiglie italiane, per come queste famiglie riescano ad accettare e ad affrontare i sacrifici imposti dalla “ragione” del cosiddetto super-Stato europeo (che non ha nemmeno una banca di ultima istanza), dalla “ragione” dei mercati finanziari, dalla “ragione” dello Stato italiano. Questa supposta “ragione” non consente deroghe a un’austerità che porta sempre di più l’Italia all’impoverimento delle sue famiglie e alla marginalità della sua economia, lasciando solo alcune regioni del Nord, il nucleo geografico produttivo, attaccato al centro Europa nel ruolo di subfornitore della macchina economica della Germania e dei suoi “satelliti”. La notizia riportata oggi dall’Ansa sembra un altro “bollettino di guerra” sul fronte economico: «Il governo ha stangato le famiglie presentando un conto di 8.836 euro nel biennio 2012-2013. E’ il calcolo di Adusbef e Federconsumatori: il costo per famiglia nel 2012 è di 220 euro di aumenti di prezzi e tariffe, cui si aggiungono 4.636 euro come costi occulti per l’aumento del debito pubblico italiano al ritmo di 9,2 miliardi al mese (102,304 miliardi di euro ripartiti per 22 milioni di famiglie) per una stangata di 6.836 euro a famiglia. Con prospettive ulteriori di 1.500 euro per il 2013». Un salasso infinito, un salasso senza senso direbbe il premio Nobel per l’economia, l’americano Paul Krugman, che sembra del tutto inascoltato da questa parte dell’Atlantico, soprattutto dai “sacerdoti” della deflazione: la signora Angela Merkel, il suo ministro alle Finanze Wolfgang Schauble, i suoi ministri e i suoi funzionari. «Ma non dall’ex ministro degli Esteri Joshka Fischer, che recentemente ha detto che la Germania sta distruggendo l’Europa per la terza volta», spiega Giuseppe Bortolussi, direttore della Cgia (Associazione degli artigiani e delle piccole imprese) di Mestre.
Bortolussi, come se la cavano le famiglie italiane?
Se la cavano ancora, Anche se con una grande fatica, con sacrifici incredibili. Permane per fortuna la tradizione di una famiglia strutturata in Italia, che resiste. Quindi i parenti si prendono a carico quelli che sono meno fortunati. C’è ancora un welfare comunale che regge, ma va detto che gli stessi comuni si stanno dissanguando. E’ questa tradizione, questa ramificazione nel territorio, questa cultura che ricorda quella dei piccoli centri a far da barriera alla crisi.
Ma i dati economici sembrano allarmanti.
L’economia va presa nel suo complesso, non può essere esaminata per compartimenti stagni. Se vanno male le imprese, e con esse l’occupazione, le famiglie di conseguenza non possono che tirare la cinghia.
Cosa può dirci dell’anno appena trascorso?
Guardi, solo i primi nove mesi: c’è un meno 6,5% di produzione industriale, un meno 10,4% di ordinativi. Lei pensi che dal 2007 il Pil è sceso del 6,7%. Dal 2007 al 2011 ci sono un milione e 250mila persone disoccupate in più. Aggiunga un credito in calo, lo Stato che non riesce a pagare i suoi debiti. Lei pensi che in tre anni, tra il precedente governo e quello attuale, sono state fatte manovre per 210 miliardi di euro. Il 70 per cento è costituito da tasse.
Che cosa vuole dire vivere in Italia in queste condizioni?
Oggi ci sono 20 milioni di italiani che vivono con meno di 2.000 euro al mese e ci sono 8 milioni e 300mila italiani che sono sulla soglia di povertà relativa. Basta illustrare queste cifre per vedere come gli italiani, le famiglie italiane stiano facendo i salti mortali.
Occorre un cambiamento politico?
Ma guardi, la politica ha sbagliato per tanti anni. Bisogna risalire a come è stato costruita questa moneta unica. Poi c’è la crisi, che è stata affrontata in maniera discutibile. Anche questo governo ha fatto degli errori, non ha dato dei segnali. Mario Monti si è dimostrato una sorta di “soldato” che eseguiva gli ordini della Bce e dell’Europa. Ma gli errori che sono stati fatti sono tanti.
Forse sarebbe il caso di uscire da questa spirale deflazionistica?
Bisognerebbe spiegarlo ai tedeschi, che però non ci sentono. Qui continuano a dare la colpa al debito pubblico e sembra che non guardino la realtà. Si dice che noi siamo spendaccioni, che gli Stati dell’Europa meridionale sono spendaccioni. Resta il fatto che fino al 2006 il debito pubblico, sia in Spagna che in Italia regrediva lentamente. Poi c’è stata la crisi e i debiti pubblici sono aumentati. Non è il debito che ha creato la crisi, ma la crisi che ha creato il debito. Che differenza c’è ad esempio tra noi e la Gran Bretagna? L’unica cosa è che là hanno una banca che può stampare moneta. Questo da noi non si può fare.
(Gianluigi Da Rold)