Alleluja, alleluja! La Grecia uscirà nel 2014 dal piano di salvataggio dell’Ue e del Fmi. Lo ha annunciato il 31 dicembre il premier ellenico, Antonis Samaras, aggiungendo che il Paese non avrà bisogno di nuovi aiuti. «Nel 2014 faremo il grande passo dell’uscita dal piano: il debito greco sarà ufficialmente dichiarato gestibile e non vi sarà necessità di altri accordi o di ulteriori prestiti», ha annunciato nel suo discorso di fine anno. La Grecia tornerà quindi sui mercati (scusate, ma a questo punto sono scoppiato a ridere, avevo le lacrime agli occhi). La troika dei creditori (Ue, Bce e Fmi) dovrebbe in effetti decidere verso la metà dell’anno prossimo su un eventuale nuovo piano di aiuti per Atene che dal 2010 ha ottenuto oltre 240 miliardi di euro in cambio di drastiche riforme che hanno devastato l’economia del Paese, portato il tasso di disoccupazione al record assoluto, ridotto un greco su due sulla soglia di povertà, ma in compenso sono serviti a pagare gli interessi sul debito detenuto dalle banche straniere e da soggetti istituzionali.
L’attuale programma di aiuti, il secondo dal 2010, scade nel luglio 2014 e da allora in avanti inizierà una sfida nuova: quella preparatoria al “Grexit”, ossia l’uscita della Grecia dall’euro, a seguito di un nuovo default. Io ne sono certo e a darmi conferma di questo ci ha pensato con un’intervista alla Bild il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, lasciando aperta la porta a un’altra tranche di aiuti. «Gli europei non lasceranno fallire la Grecia», ha infatti dichiarato, se il Paese sarà in grado di soddisfare le condizioni imposte. Schaeuble ha poi descritto come una grande opportunità la presidenza greca dell’Ue, nel primo semestre del 2014: «La presidenza mostrerà alla popolazione greca che il suo futuro è in Europa. Questo impegno è fonte di identità, di fiducia, di orgoglio, la presidenza dell’Ue è una grande opportunità per il Paese e per l’Europa», ha concluso Schaeuble.
Di recente la banca centrale greca ha stimato che l’economia ellenica dovrebbe tornare a crescere proprio il prossimo anno dopo sei anni di recessione. L’istituto centrale ha inoltre rivisto al rialzo dal -4,6% al -4% le stime sul Pil del 2013. Bene, dopo questi deliri degni di una riunione del cast del film Trainspotting, vediamo un attimino di capire se le cose stanno davvero così. Dunque, in novembre l’indice dei prezzi al consumo armonizzato all’interno dell’eurozona ha visto il dato greco al -2,9% anno su anno, mentre il deflatore del Pil è calato del 3% anno su anno durante il terzo trimestre del 2013: dunque, deflazione mai così nera, unita a un tasso di disoccupazione quasi record al 27,3% (il massimo fu toccato a maggio con il 27,5%). Pensate, tanto per capire a chi siamo in mano, che nelle stime del Fondo monetario internazionale, rese note a luglio, il deflatore del Pil era visto in ribasso dell’1,1%. Dunque, o gli uomini della Lagarde sono dei cani oppure la situazione nella seconda metà dell’anno appena concluso è precipitata: in deflazione, appunto.
La Grecia come il Giappone? Non è da escludere, perché proprio il Paese del Sol Levante è la miglior dimostrazione di come le insidie della deflazione siano davvero complicate da superare. E lunghe. L’indice CPI Nationwide Japanese, esclusi cibo e costi energetici, scivolò in territorio negativo nel settembre del 1998, toccando lo 0,1% anno su anno. Non tornò positivo per dieci anni, toccando il +0,1% anno su anno nel giugno 2008. A differenza della Grecia, però, in Giappone la disoccupazione non salì mai sopra il 5,5% in quel periodo. E cosa succede con la deflazione? Si alzano i tassi di interesse reali sul debito greco. Per esempio, stando a elaborazioni di Bloomberg Brief, i tassi di interessi reali nel 2013 sono saliti al 5,7% dal 3,6%, saliranno al 4,8% dal 3,1% quest’anno, cresceranno ancora al 4% dal 2,6% nel 2015 e poi al 3,2% dal 2,1% nel 2016. Questo, utilizzando il deflatore del Pil al -3% registrato nel 2013 e facendolo salire di un punto percentuale all’anno fino a 0 nel 2016.
Ma la deflazione pesa anche sulla crescita del Pil nominale, visto che assunto il dato del deflatore, nel 2013 saremmo arrivati a -7,1% dal -5,3%, quest’anno si scenderà a -1,4% da +0,%, mentre nel 2015 si andrà a +1,9% da +3,3% e l’anno seguente a 3,7% da 4,8%, sempre usando i dati attuali e armonizzandoli alle ultime previsioni di crescita dell’economia greca fatte dal Fmi. Insomma, utilizzando la prospettiva binaria del tasso reale di crescita del Pil e dell’inflazione del Fmi, nel 2016 l’economia greca “varrà” 199,2 miliardi di euro, ma se utilizziamo lo scenario alternativo su numeri reali, il valore scende a 187,5 miliardi di euro. Ovvero, un’economia in piena contrazione che non fa altro se non far crescere l’ammontare del debito sovrano nazionale: stando al calcolo del Fmi, la ratio debito/Pil ellenica nel 2016 sarà del 158,3%, mentre utilizzando lo scenario alternativo sarà del 168,9%.
Con questi numeri, al netto dell’umorismo irresistibile di Samaras, mi spiegate come farà la Grecia ad abbassare il livello del prezzi interni per riguadagnare competitività e contemporaneamente evitare una seconda ristrutturazione del debito sovrano, stante quella ratio e un Pil che non cresce o non cresce abbastanza? Ricordando poi che il 95% del debito greco detenuto in mano estera, ora è di proprietà delle banche elleniche: per la Germania, nonostante le belle parole di Schauble, ora Atene può tranquillamente fallire, senza che Deutsche Bank e Commerzbank paghino conti troppo salati. E ancora, nonostante i giornali abbiano strepitato rispetto l’uscita dalla recessione nel terzo trimestre, l’export è sceso del 12,2% in ottobre, con un calo del 20% delle spedizioni marittime fuori dall’Ue, chiaro segnale che la forza dell’euro sta bloccando qualsiasi tipo di ripresa. Gli investimenti sono scesi del 12,6% e sono al -68% dal picco del 2007, mentre sempre in ottobre la produzione industriale è scesa del 5,2%, un deterioramento netto dal -1,35% di settembre.
Per Dmitris Drakopoulos di Nomura «è naturale aspettarsi che la Grecia ritorni in recessione nel quarto trimestre di quest’anno e nel primo del prossimo». E nonostante si brindi da più parti all’avanzo primario che si starebbe generando, in maggio la Grecia dovrà ripagare 10 miliardi di euro ai propri creditori: quindi, o si genera da qui a sei mesi un surplus mostruoso o facilmente i creditori europei del Paese dovranno immettere nuovo capitale fresco per evitare un’altra crisi.
Ma c’è qualcos’altro che dovrebbe farci riflettere, a tale riguardo. Mentre il mondo saluta come una vittoria l’annuncio da parte del ministro delle Finanze, Stournaras, dell’avanzo primario nel bilancio che continua a crescere, un recente studio ci dimostra proprio come le nazioni in condizioni simili alla Grecia siano più a rischio di fare default proprio nell’anno in cui raggiungono un surplus primario di budget, ovvero quando sono meno dipendenti dai creditori. Detta molto alla buona, il governo greco ha molta meno incentivazione a pagare e rinegoziare con i suoi creditori, quando non ha più bisogno di prendere a prestito da loro per mantenere in piedi il Paese.
Come saprete, l’avanzo primario del bilancio statale altro non è che la differenza fra la spesa pubblica e le entrate tributarie ed extra-tributarie, esclusi gli interessi da pagare sul debito. In altre parole, l’avanzo primario è la somma disponibile per pagare gli interessi sul debito pubblico (Bot, Cct, ecc.) ed eventualmente per ridurre questo debito. Il problema è che una volta arrivato all’avanzo primario, il governo greco potrebbe essere meno incentivato a pagare i creditori, visto che formalmente non necessita di prendere di nuovo a prestito da loro per far funzionare lo Stato. Il dramma greco, a mio modo di vedere, è lungi dall’essere concluso, stante anche l’instabilità politica della coalizione di governo e la richiesta netta dei comunisti di Syriza, primo partito nei sondaggi, di ritirare da subito le più gravose misure di austerity imposte dalla troika. Temo nuove elezioni, instabilità e un’altra ristrutturazione del debito: con scossoni che faranno tremare tutta l’Europa periferica. Un’altra volta.